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Nel primo caso la Corte, considerando (§ 273) che nelle aree controllate da al-Shabaab vige una versione particolarmente draconiana della Sharia, ritiene che una persona che viene rimpatriata dopo un lungo periodo di assenza (dunque priva di recente “esperienza di vita” in Somalia) sarebbe a rischio di essere sottoposta a trattamenti proibiti dall’art. 3 CEDU se dovesse cercare protezione in aree sotto il controllo di al-Shabaab o se non potesse raggiungere la zona “sicura” senza transitare per quelle aree (§ 277).
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Nel secondo caso, la Corte afferma che, se le condizioni umanitarie in Somalia fossero del tutto o in maniera predominante attribuibili alla povertà o alla mancanza di risorse dello Stato per fronteggiare un fenomeno naturale, allora si potrebbe affermare (come in N. c. Regno Unito) che tali condizioni potrebbero essere considerate come violazione dell’art. 3 CEDU solo in casi estremamente eccezionali. Tuttavia, nella valutazione della Corte, le condizioni in Somalia, benché aggravate dalla siccità, sono dovute in maniera predominante alle azioni dirette o indirette delle parti in conflitto e dal rifiuto da parte di al-Shabaab di permettere alle agenzie internazionali di operare nelle aree sotto il suo controllo. In questo caso, la Corte preferisce seguire l’approccio sperimentato in M.S.S. c. Belgio e Grecia, secondo il quale è necessario considerare la possibilità per il ricorrente di soddisfare i propri bisogni primari, la sua vulnerabilità e la prospettiva di un miglioramento della sua situazione in un tempo ragionevole (§ 283). Considerando i rapporti sulla situazione nei campi per sfollati in Somalia e nei campi rifugiati di Dadaab in Kenya e il fatto che tali campi stanno nel frattempo diventando sempre più sovraffollati, la Corte ritiene che (§ 292) ogni persona che dovesse cercare protezione interna in uno di questi campi sarebbe a rischio di un trattamento contrario all’art. 3 CEDU a causa delle terribili condizioni umanitarie.
Di particolare interesse è anche la comparazione che la Corte fa (§ 226) tra l’art. 15 c) della Direttiva Qualifiche, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE nel caso Elgafaji, e l’art. 3 CEDU. In particolare, il livello richiesto da entrambe le disposizioni può essere raggiunto, secondo la Corte di Strasburgo, in circostanze eccezionali, a seguito di una situazione di violenza generalizzata di una tale intensità che chiunque venga rinviato nella zona in questione sarebbe a rischio per via della sua sola presenza.
Dunque cosa aggiunge la lettera c) dell’art. 15 alla lettera b) (che ricalca il testo dell’art. 3 CEDU)? Considerato che nel caso Elgafaji la Corte di Giustizia UE aveva detto (§28) che è l’art. 15 b) che corrisponde all’art. 3 CEDU mentre l’art. 15 c) ha un contenuto differente.
La palla torna nel campo di Lussemburgo…