La normativa dell’Unione europea è molto chiara nell’attribuire un ruolo di grande importanza alle informazioni sui Paesi di Origine (COI – Country of Origin Information) nella procedura di asilo, tanto come strumento per permettere esami congrui delle domande di protezione internazionale, quanto come metro di valutazione della credibilità del richiedente, in particolare per sopperire alla carenza di prove.
L’art.4 comma 3 della Direttiva 2011/95/UE (Direttiva Qualifiche)stabilisce, alla lettera a), che l’esame della domanda di protezione internazionale deve prevedere “la valutazione di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione”.
Il comma 5 dello stesso articolo prevede che le informazioni generali pertinenti al caso individuale possano servire a corroborare eventuali dichiarazioni del richiedente non suffragate da prove.
L’art. 8 comma 2 della stessa Direttiva Qualifiche, poi, prevede che le COI debbano essere tenute in conto dagli Stati membri anche in materia di “Protezione all’interno del Paese di origine”.
L’art. 10 comma 1 lett. d), ai fini dell’individuazione di un determinato gruppo sociale (che è uno dei possibili motivi di persecuzione per aversi il riconoscimento dello status di rifugiato), stabilisce che “in funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale”.
L’art. 8 comma 2 della Direttiva 2005/85/CE (Direttiva Procedure)prevede che gli Stati “dispongono che pervengano da varie fonti informazioni precise e aggiornate, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, nei paesi in cui questi hanno transitato e che tali informazioni siano messe a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito”.
L’art. 38, comma 1, lett. c) della stessa Direttiva prevede analogo obbligo in fase di revoca dello status.
L’art. 30 comma 5, in materia di Paesi di origine sicuri, stabilisce che “La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.”
Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE e della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dedicato una crescente importanza alle informazioni sui Paesi di origine (o di transito) dei richiedenti asilo, al fine di valutare le conseguenze in caso di rimpatrio (o di rinvio in un altro Stato membro ai sensi del Regolamento Dublino II).
Ciò è ovvio, d’altronde, se solo consideriamo la grande quantità di materiale oggi disponibile in rete e la facilità per chiunque – dunque anche per le autorità responsabili dell’esame delle domande di protezione internazionale – di procurarsele.
Tuttavia, la quantità di materiale disponibile non è di per sé garanzia di qualitàdel processo decisionale. Occorre sapere cosa cercare e cosa scegliere fra i documenti disponibili. Occorre avere il tempo di leggere e di comprendere le informazioni (cosa questa non scontata per chi è chiamato a intervistare un elevato numero di richiedenti asilo al giorno in condizioni spesso complicate).
Proprio per questi motivi, con lo scopo di favorire un approccio comune fra i diversi Stati membri riguardo alle COI, migliorare la qualità dei processi decisionali nei vari Stati e, in definitiva, ridurre le divergenze tra gli Stati membri per quanto riguarda la concessione della protezione internazionale (Regolamento EASO, preambolo, considerando n° 2), l’Agenzia europea di sostegno per l’asilo(EASO) ha fra le sue attività principali proprio quella di coordinare le attività relative alle informazioni sui Paesi di origine.
In particolare, l’EASO, secondo l’art. 4del suo Regolamento, deve organizzare, promuovere e coordinare:
“a) la raccolta, secondo modalità trasparenti e imparziali, di informazioni pertinenti, affidabili, accurate e aggiornate sui paesi di origine delle persone che fanno domanda di protezione internazionale, avvalendosi di ogni fonte pertinente, comprese le informazioni raccolte da organizzazioni governative e non governative e da organizzazioni internazionali, nonché da istituzioni e organismi dell’Unione;
b) l’elaborazione di relazionisui paesi di origine, sulla base delle informazioni raccolte in conformità alla lettera a);
c) la creazione e l’ulteriore sviluppo di un portaleche raccolga le informazioni sui paesi di origine al fine di garantire la trasparenza in conformità delle regole necessarie per l’accesso a tali informazioni ai sensi dell’articolo 42;
d) l’elaborazione di un formato e di una metodologia comuni per la presentazione, la verifica e l’utilizzodelle informazioni sui paesi di origine;
e) l’analisidelle informazioni sui paesi di origine, condotta secondo modalità trasparenti nell’intento di promuovere la convergenza tra criteri di valutazione e, se del caso, utilizzando i risultati delle riunioni di uno o più gruppi di lavoro. Tale analisi non è volta a impartire istruzioni agli Stati membri sull’accoglimento o sulla reiezione delle domande di protezione internazionale.”
Dunque, per sintetizzare: raccolta, elaborazione di relazioni, sviluppo di un portale, metodologia per la presentazione, la verifica e l’utilizzo, e infine analisi delle COI per promuovere la convergenza fra i criteri di valutazione.
Si specifica però che l’EASO non può impartire istruzioni agli Stati sulla valutazione delle domande di protezione internazionale.
Tale mancanza di potere decisionale la si ritrova molto chiaramente espressa anche nell’art. 2 comma 6 del Regolamento EASO: “L’Ufficio di sostegno non ha alcun potere in relazione al processo decisionale delle autorità degli Stati membri responsabili per l’asilo per quanto riguarda le singole domande di protezione internazionale”.
Le informazioni sull’Afghanistan: la prima relazione dell’EASO
L’EASO ha pubblicato proprio oggi, ottemperando al compito attribuitole dall’art. 4 lett. a) e b) del citato Regolamento, il suo primo rapporto COI, relativo all’Afghanistan.
Il rapporto, intitolato “Afghanistan. Taliban strategies – Recruitment” è pubblico e liberamente scaricabile (in fondo a questo messaggio si può trovare il link).
Contemporaneamente, l’EASO ha pubblicato anche un altro rapporto, sulla metodologia di ricerca COI. Anche questo rapporto è liberamente scaricabile (link più sotto).
Il Direttore dell’Agenzia, Robert K. Visser, ha presentato i due lavori in una conferenza stampa tenutasi questo pomeriggio a Bruxelles. La conferenza, della durata di circa 30 minuti, in inglese, è visibile cliccando qui(occorre registrarsi).
Grazie a Neil Falzon del sempre aggiornatissimo blog EASO Monitor, per averci fatto scoprire col suo ultimo post questa possibilità.
Abbiamo ascoltato la conferenza per poterne dare conto, anche se ad ora ormai tarda e dunque non garantiamo di aver prestato massima attenzione, complice forse anche il ritmo non proprio incalzante del discorso.
Ad ogni modo, invitiamo chi volesse farsi un’idea più chiara sull’Agenzia e sul suo ruolo in materia di COI a prendere visione della conferenza.
Questi sono alcuni passaggi che abbiamo annotato:
– le COI sono un elemento di vitale importanza nella procedura di asilo: ecco perché l’EASO ha il compito di organizzare report di questo tipo;
– perché partire dall’Afghanistan? Risposta piuttosto scontata: perché è il Paese da cui proviene la maggior parte delle persone che chiedono protezione internazionale nell’Unione europea; e perché fra gli Stati membri vi sono sostanziali differenze nei tassi di accoglimento delle domande di queste persone (EASO in realtà considera i tassi di dinieghi, perché più facilmente comparabili rispetto alle decisioni positive);
– a questo rapporto ne seguirà un altro, sempre sull’Afghanistan, entro la fine dell’anno; quindi, si deciderà come procedere;
– il rapporto sulla metodologia riguarda i) come dovrebbero essere i rapporti COI e ii) come tali rapporti possono offrire il massimo supporto agli Stati membri nella decisione sui singoli casi.
Lasciamo le (due) conclusioni del lavoro dell’EASO sull’Afghanistan alla curiosità dei lettori.
Concludiamo invece questo post con alcune nostre prime considerazioni “a caldo”.
Sarà interessante vedere come verrà tenuta in considerazione questa ricerca. Nel corso della conferenza stampa, il Direttore dell’Agenzia ha ripetuto giustamente che saranno le autorità degli Stati membri responsabili per l’esame delle domande di protezione internazionale a stabilire la qualità o meno del rapporto.
Pur non avendo ancora avuto, per ragioni di tempo, occasione di leggerlo, siamo sicuri che il lavoro dell’EASO rappresenti uno strumento prezioso.
Esso è, tuttavia, uno strumento, fra i tanti, certamente autorevole ma non esaustivo e che dovrà sempre essere integrato con altri rapporti esistenti o futuri di organizzazioni internazionali (prima fra tutte, ovviamente, l’UNHCR) o non governative.
Il direttore Visser, nel corso della conferenza, ha detto che avrebbero potuto scrivere molto di più (il rapporto è effettivamente breve, per la vastità dell’oggetto: appena 56 pagine), ma in quel caso la lettura sarebbe stata più difficile, mentre l’obiettivo del rapporto dell’EASO è quello di supportare coloro che sono chiamati a prendere decisioni sulle domande di protezione internazionale e che spesso hanno ben poco tempo a disposizione per farlo.
Dunque, la scelta è stata quella di realizzare uno strumento che fosse facile da consultare.
Ora, se da un lato supportare chi ha la responsabilità di decisioni tanto delicate è certamente un obiettivo importante, dall’altro lato temiamo che, in mancanza di regole più chiare sui criteri per il reclutamento dei membri delle autorità responsabili, questo report rischi di diventare uno strumento utile a mettere in dubbio la credibilità dei richiedenti.
Con questo non vogliamo negare l’importanza del lavoro dell’EASO.
Ma riteniamo che non potrà esservi nessun miglioramento nella qualità del processo decisionale senza una previsione normativa che renda chiaramente obbligatorio per gli Stati membri dotare le autorità responsabili di mezzi adeguati e di una formazione multidisciplinare in materia di protezione internazionale e di conoscenza della realtà dei Paesi di origine.Formazione che poi ben potrà (e dovrà) essere continuamente integrata e supportata dai rapporti disponibili.
È ovvio che questo non è un compito che spetta all’EASO ma al legislatore europeo, chiamato proprio in questi giorni – come ben sanno i lettori di questo blog – a modificare la Direttiva Procedure.
Insomma, da solo, un rapporto dell’EASO non contribuirà, a nostro parere, a migliorare come si vorrebbe la qualità del processo decisionale. Anzi, il rischio che si corre è quello di supportare le tendenze restrittive, fornendo un ulteriore – ed autorevole – strumento per dichiarare non credibili le dichiarazioni dei richiedenti e non certo per garantire “esami congrui” delle domande.