Il 5 e 6 novembre si è svolto a Tirana un incontro fra i ministri responsabili per gli Affari Interni dei Paesi dei Balcani occidentali, la Commissione europea e la presidenza di turno cipriota dell’UE.


Fra gli argomenti discussi, di particolare interesse per noi è la questione della “liberalizzazione” dei visti. Infatti, come noto, ormai tutti i Paesi dei Balcani occidentali – ad eccezione del Kosovo – sono stati inseriti dall’UE nella c.d. “lista bianca“, cioè quella lista (contrapposta alla c.d. “lista nera”) che elenca i Paesi i cui cittadini sono esentati dall’obbligo di essere in possesso di un visto all’atto di entrare per periodi brevi (fino a tre mesi) nello spazio Schengen.

Si è parlato molto di Balcani occidentali in questo periodo. E lo si è fatto soprattutto per lamentare l’eccessivo numero di domande di asilo presentate da cittadini di quei Paesi, che approfitterebbero dell’esenzione dall’obbligo di visto per entrare nell’area Schengen allo scopo di depositare una domanda di asilo.

Come da noi segnalato alcuni giorni fa, la Commissaria europea agli Affari Interni, Cecilia Malström, ha comunicato recentemente di aver ricevuto una lettera da parte di sei Stati membri – Germania, Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi – che si raccomandavano di trovare il prima possibile l’accordo a livello europeo su una clausola di salvaguardia che permetta di reintrodurre l’obbligo di visto in caso di gravi mancanzeda parte degli Stati esentati.
Il riferimento era ad una proposta, attualmente in discussione fra i co-legislatori, di modifica delRegolamento 539 del 2001, cioè del Regolamento che contiene appunto le c.d. “lista bianca” e “lista nera” di cui sopra (su questa proposta di modifica V. questo nostro vecchio messaggio qui).

Il tema dell’abuso della liberalizzazione dei visti venne del resto sollevato fin dai primi mesi successivi a tale liberalizzazione (avvenuta nel dicembre 2009 per Macedonia, Montenegro e Serbia ed esattamente un anno dopo per i cittadini di Albania e Bosnia).
Tanto che già nel gennaio 2011 la Commissione europea avviò un meccanismo di monitoraggio successivo alla liberalizzazionedei visti che copre tutti gli aspetti rilevanti (controllo dei confini, immigrazione, asilo, cooperazione di polizia, tratta, riciclaggio,…) e serve a valutare l’evolversi della situazione negli Stati dei Balcani occidentali e ad individuare le azioni da intraprendere.



Il 28 agosto di quest’anno la Commissione ha poi pubblicato la sua terza Relazione sul meccanismo di monitoraggio successivo alla liberalizzazione dei visti per i Paesi dei Balcani occidentali, dopo le prime due relazioni del maggio e del dicembre 2011.
In questa terza Relazione, dopo aver analizzato brevemente la situazione in ciascun Paese interessato, la Commissione conclude che:
  • alcuni Stati UE hanno vissuto ondate stagionali di crescita delle domande di asilo a seguito della liberalizzazione;
  • le destinazioni favorite per i richiedenti asilo provenienti dai Paesi dei Balcani occidentali sono Belgio, Germania, Lussemburgo, Svezia e, dal 2012, anche la Svizzera;
  • dai rapporti di Frontex emerge che il numero totale dei richiedenti asilo provenienti dai Paesi dei Balcani occidentali nel 2012 è in calo (benché alcuni Stati, come Belgio, Lussemburgo e Svezia, siano in controtendenza);
  • le ragioni più frequenti per cui viene chiesto asilo sono la mancanza di cure mediche, la disoccupazione e la mancanza di scolarizzazione; un numero crescente di domande sono avanzate sulla base di informazioni erronee sulla concessione della protezione per ragioni economiche;
  • la maggior parte dei richiedenti è consapevole che la propria domanda di asilo ha poche possibilità di essere accettata;
  • importanti fattori di attrazione sono la durata delle procedure di asilo e, di conseguenza, la lunghezza del periodo di permanenza nello Stato responsabile per l’esame della domanda;
  • alcuni Stati hanno preso delle contromisure, come campagne informative, diminuzione dei tempi per la valutazione delle domande manifestamente infondate,…;
  • la maggior parte dei richiedenti asilo provenienti dai Paesi dei Balcani occidentali appartengono alla minoranza Rom, che soffre di bassi livelli di educazione, alta disoccupazione, con conseguente esclusione sociale e basse condizioni di vita;
  • il tasso di riconoscimento della protezione (incluse le forme di protezione umanitaria) rimane molto basso;

La Relazione della Commissione forniva anche alcuni dati interessanti sul numero delle persone rimpatriate dai Paesi UEtra novembre 2011 e marzo 2012: 2.400 serbi, 2.400 albanesi, 983 macedoni, 234 montenegrini. Ricordiamo in proposito che tutti gli Stati dei Balcani occidentali i cui cittadini sono stati esentati dall’obbligo del visto per entrare nell’area Schengen per brevi periodi hanno sottoscritto degli accordi di riammissione con l’UE
Accordi che, sempre secondo la Relazione della Commissione europea, sono applicati senza problemi.


La Convenzione europea sui diritti dell’uomo



Art. 2, Protocollo n° 4

Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio



La Commissione conclude la sua Relazione affermando che la maggior parte dei cittadini dei Paesi dei Balcani occidentali che si recano nello spazio Schengen sono “in buona fede”, ma sono necessari sforzi maggiori per assicurare la sostenibilità ed irreversibilità della liberalizzazione.
In particolare, la Relazione sottolinea la necessità di:
  1. una maggiore cooperazione con le autorità dei Paesi dei Balcani occidentali;
  2. intensificare le indagini sui “facilitatori” (agenzie di viaggio,,..);
  3. rafforzare i controlli “in uscita” (cioè nei Paesi dei Balcani occidentali) e “in entrata” (ai confini dell’UE).

Quanto ai controlli in uscita, ricordiamo però come il diritto a lasciare ogni Paese, incluso il proprio, sia un diritto umano sancito, fra gli altri, anche dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Non a caso, già un anno fa, l’allora Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg si era espresso in maniera molto critica verso misure dirette a mettere in pericolo questo diritto e, in particolare, verso il rischio che tali misure venissero applicate in maniera discriminatoria verso la comunità Rom. L’intervento del Commissario si concludeva così: 

“Measures such as improved dissemination of information about the asylum rules in the Schengen area would be constructive. However, pressure on Balkan governments to undermine the human right of their citizens to leave their country is not.”


   4.  intensificare le campagne di sensibilizzazione;
   5.  aumentare sostanzialmente l’assistenza alle minoranze, in particolare        alla comunità Rom, nei Paesi di origine.

Nell’incontro UE-Balcani occidentali del 5 e 6 novembre il tema della liberalizzazione dei visti ha rappresentato ovviamente un punto centrale della discussione
Come si può leggere nel Comunicato ufficiale pubblicato dopo il meeting sul sito della presidenza cipriota dell’UE, si è trattato di uno “scambio di vedute”, concluso anche con le congratulazioni ai Paesi dei Balcani occidentali per gli sforzi fatti fin qua per affrontare il problema.

Più minacciosi erano sembrati invece i toni usati a margine della riunione del Consiglio dell’Unione dello scorso 25 e 26 ottobre. Vedi su questo il nostro precedente post e questo articolo (EUobserver.com)


Nelle prossime settimane vedremo se, al di là dei toni formali del comunicato stampa del 5 novembre, saranno presi dei provvedimenti punitivi nei confronti dei Paesi dei Balcani occidentali, “colpevoli” del fatto che diverse migliaia (più di 26.000 negli ultimi 12 mesi, secondo il più recente rapporto di Eurostat) di loro cittadini hanno presentato domanda di asilo nei Paesi dell’UE.

In conclusione, non possiamo esimerci dal ricordare che anche cercare asilo è un diritto umano

Non negheremo l’esistenza di domande di asilo presentate con il solo scopo di rimanere per un certo periodo sul territorio dello Stato che le esamina. 
Ma riteniamo che questo problema, molto serio, vada affrontato a partire dalle sue radici profonde e, parallelamente, attraverso contromisure di tipo procedurale, del resto già ammesse dalla normativa europea (come la possibilità di accelerare l’esame delle domande chiaramente infondate). 

Ci sembrerebbe invece un pessimo segnale se, per reagire a un problema vero, ma tutto sommato circoscritto, si adottassero misure che finirebbero per colpire tutti i potenziali viaggiatori verso l’UE e, soprattutto, inciderebbero negativamente sulla possibilità di cercare asilo e, se in possesso dei necessari requisiti, ottenerlo.