Oggi avviamo una nuova iniziativa di Asilo in Europa, la cui buona riuscita dipenderà anche dal grado di coinvolgimento che sapremo stimolare.
Per questo, ci rivolgiamo fin dalle prime righe a chi legge affinché ci aiuti nel diffondere questo messaggio e, se vorrà, partecipi e arricchisca una discussione su un tema che riteniamo di enorme importanza.
Da più parti abbiamo raccolto, nel corso degli ultimi mesi, un bisogno crescente degli operatori del settore di confrontarsi con l’estero, al fine di poter offrire ai propri beneficiari – richiedenti o già titolari di protezione internazionale – un servizio migliore, più completo. Che si tratti di informazioni sulla possibilità di recarsi (e soggiornare, lavorare) in un altro Stato, ovvero delle modalità di applicazione delle rilevanti regole europee in materia di circolazione nell’UE (Schengen, Dublino, direttiva lungo-soggiornanti), lo scambio di informazioni con chi lavora in altri Paesi riveste un’importanza sempre maggiore.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in diverse occasioni, il fatto che l’UE si stia dotando di un Sistema europeo comune in materia di asilo – le cui nuove regole, ormai concordate, dovrebbero finalmente vedere la luce nelle prossime settimane – non significa che il livello di accoglienza e protezione garantiti nei diversi Stati membri sia lo stesso. Tutt’altro.
Ciò per diverse ragioni.
Da un punto di vista strettamente giuridico, perché le norme adottate dal’UE lasciano ampi margini di manovra ai singoli Stati. Infatti, le Direttive della c.d. “prima fase” della costruzione del Sistema europeo comune di asilo contenevano numerose clausole opzionali e possibilità di deroghe che rendevano fin dall’inizio molto complicato il raggiungimento di una “armonizzazione” delle norme nei diversi Stati membri.
Differenti approcci alla materia dell’asilo, prassi consolidate e, soprattutto negli ultimi anni, la pesante crisi economica e del lavoro in diversi Paesi europei (crisi che tuttavia non ha impedito che ingenti risorse fossero spesso dilapidate senza ottenere risultati soddisfacenti), hanno fatto il resto.
Il risultato è che, in queste condizioni, l’obiettivo dichiarato nei preamboli sia della Direttiva Qualifiche sia della Direttiva Accoglienza sia della Direttiva Procedure, cioè quello di limitare i movimenti secondari (tra Paesi UE) dei richiedenti asilo, si rivela decisamente troppo ambizioso, per non dire del tutto irrealistico.
Anche da ciò deriva la richiesta – che probabilmente molti operatori in Italia hanno sentito rivolgersi – da parte di persone richiedenti o titolari di protezione internazionale, di avere informazioni su altri Paesi europei. Quali documenti servono per recarvisi? Quanto tempo si può rimanere? Una volta lì è possibile lavorare? Ci sono possibilità di “regolarizzare” la propria posizione o di ricongiungersi a familiari?
Crediamo che ormai non si tratti più di un fenomeno che riguarda solamente (o principalmente) le persone del tutto prive di accoglienza in Italia.
I dati pubblicati recentemente dal Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) registrano una netta crescita, tra i motivi dell’uscita dai progetti SPRAR, della categoria dell’abbandono, passato dal 20,8% del 2010 al 30,0% del 2011 (Rapporto annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – Atlante SPRAR 2011/2012, p. 37)
E’ evidente che tra le uscite dai progetti SPRAR conteggiate nella categoria ‘abbandoni’ sono compresi casi molto diversi tra di loro, molteplici essendo le ragioni che possono spingere gli ospiti a lasciare un progetto.
Tuttavia, tra questi casi, sulla base delle segnalazioni che riceviamo, ci pare in crescita il fenomeno di coloro che abbandonano l’Italia per tentare di stabilirsi in altri Stati dell’Unione europea.
Spesso scontrandosi con i limiti alla circolazione imposti dalle diverse normative nazionali e da una normativa europea che, a nostro parere, andrebbe su questo punto completamente ripensata.
Con questa nuova rubrica, che abbiamo chiamato – prendendo a prestito un’espressione molto utilizzata a livello europeo – “Asylum Lottery“, vorremmo dunque accostarci al tema dell’abbandono del nostro Paese alla ricerca di esperienze da parte di chi opera nel settore in Italia e di riscontri e risposte da chi, all’estero, vede il fenomeno dal punto di vista opposto, quello degli arrivi dall’Italia.
Lo vogliamo fare partendo, come è giusto, dalla consapevolezza dell’importanza e dal valore dell’esperienza – ormai più che decennale – dello SPRAR in Italia e dalla qualità del lavoro degli Enti locali e delle tante realtà del terzo settore che ne costituiscono l’ossatura.
Nonostante gli ovvi limiti (nostri, innanzitutto), proponiamo con questa iniziativa di sviluppare un ragionamento su questo tema, che inevitabilmente ne porta con sé altri ben più ampi (dalle politiche dell’asilo in Italia ai limiti alla circolazione in Europa delle persone richiedenti o titolari di protezione). Un ragionamento che ci aiuti a riflettere sul nostro lavoro ma che ci permetta anche di “aprirci” all’esterno, di confrontarci con chi lavora in altri Paesi.
Per ricavarne qualche informazione utile da fornire nel quotidiano e, se possibile, per ampliare ancora di più la riflessione su un tema così decisivo.
Ci rivolgiamo dunque a operatori di progetti di accoglienza, realtà del terzo settore, avvocati, chiunque vorrà partecipare portando la propria esperienza personale (o d’équipe), una riflessione, un’opinione, sul tema dell’abbandono dell’Italia da parte di persone richiedenti o titolari di protezione internazionale o umanitaria.
Non pubblicheremo necessariamente ogni contributo che ci verrà inviato, ma solo quelli che vorranno essere pubblici. Il nostro obiettivo non è infatti quello di dar vita a un “dibattito on line”, ma quello – anche più realistico, considerate le nostre forze e dimensioni – di stimolare un interesse verso questo (ripetiamo, decisivo) tema e – forse ancor di più – di abituarci a ragionare e lavorare nell’ottica di una sempre maggiore necessità di contatti e scambi frequenti con chi opera in questo settore in altri Stati europei.
Ci faremo quindi carico di raccogliere le riflessioni e le domande ricevute e di portarle fuori dai confini italiani, cercando di ottenere da colleghi che lavorano in altri Paesi riscontri sul fenomeno degli arrivi dall’Italia e risposte a domande dirette.
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