Eccoci giunti all’ultima puntata della nostra scheda sul funzionamento del sistema di asilo belga. Una scheda davvero ricca di informazioni e dati, molto dettagliata, che siamo certi abbia incontrato il vostro interesse. 
Oggi ci occupiamo del contenuto della protezione internazionale, cioè di quello che prevede la normativa belga nei confronti delle persone che ottengono protezione in quel Paese: durata del titolo di soggiorno, rilascio del documento di viaggio, percorsi di integrazione, stipendi minimi sociali,…
La parte finale del post è dedicata invece a chi, non avendo ottenuto alcuna protezione, perde il diritto al soggiorno e, dunque, alle forme di rimpatrio volontario o forzato previste dalla normativa belga.

Come sempre, ricordandovi che tutte le schede relative ai sistemi di asilo da noi analizzati (per ora Francia, Irlanda, Malta e Belgio) si possono trovare alla pagina Asilo negli Stati europei, vi auguriamo una buona lettura e attendiamo vostri commenti o suggerimenti.



BELGIO
6) CONTENUTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE


Titolo di soggiorno

Coloro che ottengono lo status di rifugiato hanno automaticamente diritto ad un permesso di soggiorno a tempo indeterminato
Chi ottiene la protezione sussidiaria ha diritto ad un permesso di soggiorno inizialmente per un anno, rinnovabile in seguito per due anni. Dopo cinque anni a partire dalla data dell’introduzione della domanda d’asilo il permesso di soggiorno diventa indeterminato. Ad ogni rinnovo l’Ufficio Immigrazione può richiedere al Commissariato Generale (CGRA – V. parte 4-Esame della domanda) se è necessario il ritiro dello status per cessazione del bisogno di protezione internazionale. In pratica questo però non succede quasi mai.

Documenti di viaggio

Il Commissariato Generale rilascia il passaporto ai detentori dello status di rifugiato.
I titolari di protezione sussidiaria devono generalmente fare richiesta alle proprie autorità nazionali. In caso questo non sia possibile, il ministero degli Esteri Belga può loro rilasciare un passaporto per stranieri, ma solo dopo il quinto anno di residenza in Belgio.

Diritto a lavorare

I rifugiati hanno automaticamente diritto a lavorare senza bisogno di un permesso di lavoro.
I titolari di protezione sussidiaria devono richiedere un permesso di lavoro. Dopo cinque anni, con l’ottenimento di un permesso di soggiorno di tempo indeterminato, ne vengono esentati.

Accoglienza dopo il riconoscimento dello status

Le persone a cui viene riconosciuto uno status di protezione internazionale hanno due mesi di tempo per lasciare la struttura d’accoglienza verso un alloggio privato. Nelle ricerca dell’alloggio vengono assistiti dalla struttura d’accoglienza e dai Centri Pubblici di Azione Sociale che possono ad esempio anticipare la caparra per gli alloggi in affitto.

Assistenza sociale

I rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria hanno diritto, come i cittadini belgi, all’assistenza sociale e quindi anche agli stipendi minimi sociali elargiti dai Centri Pubblici di Azione Sociale se non dispongono di reddito sufficiente o sono disoccupati.

Ricongiungimento familiare

I rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria hanno diritto a richiedere il ricongiungimento familiare. Per queste categorie di stranieri valgono delle eccezioni rispetto alla procedura regolare, in particolare per quanto riguarda la richiesta di reddito sufficiente e di abitazione sufficiente.

Integrazione

L’integrazione in Belgio è una materia non di competenza del governo federale ma delle comunità linguistiche.
Nelle Fiandre tutti gli stranieri regolarmente residenti hanno l’obbligo di seguire il cosiddetto ‘inburgering‘, ovvero un percorso d’integrazione costituito da corsi di lingua olandese, corsi di ‘orientamento sociale’ e orientamento al lavoro.
In Vallonia non esiste un equivalente. 
Per i residenti a Bruxelles non vi è l’obbligo di seguire l’inburgering ma gli aventi diritto possono decidere di farlo.

Naturalizzazione

Per rifugiati e titolari di protezione sussidiaria (come per gli altri stranieri) la naturalizzazione può essere richiesta dopo 5 anni di residenza legale, a condizione che si abbia lavorato almeno un anno e che si parli una delle lingue ufficiali. Dopo 10 anni di residenza legale, la cittadinanza si può richiedere senza condizioni.


Perdita del diritto al soggiorno e rimpatrio

A seguito di una decisione negativa definitiva della Corte per le cause in materia d’immigrazione (V. parte 5 – Fase giurisdizionale) i richiedenti asilo perdono il diritto al soggiorno. L’Ufficio Immigrazione consegna loro un ‘ordine di lasciare il territorio’. Sull’ordine di lasciare il territorio viene specificato anche il termine entro il quale lo straniero è tenuto a partire. Generalmente questo termine è di 30 giorni.

Durante questi 30 giorni al richiedente asilo diniegato viene assegnato un posto d’accoglienza per il rimpatrio volontario in un centro collettivo (V. parte 3 – Accoglienza dei richiedenti asilo) Al termine di questi 30 giorni, se non vi sono motivi per prolungare il termine e il richiedente diniegato rifiuta il rimpatrio volontario, l’Ufficio Immigrazione può iniziare le pratiche per il rimpatrio forzato. 


Rimpatrio volontario

Tutti i richiedenti asilo, durante la procedura o dopo una decisione negativa, hanno diritto all’assistenza per il rimpatrio volontario. 
Fedasil organizza il programma REAB (Return and Emigration of Asylum Seekers ex Belgium) in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale per la Migrazione (OIM) e Caritas International Belgio.
Il programma si compone di due elementi: il REAB base e il REAB con assistenza alla reintegrazione

Con il REAB base il rimpatriante riceve unicamente assistenza per il viaggio (costi dei trasporti, dei bagagli, dei documenti ecc) e una somma in denaro per gestire le primissime spese una volta rimpatriato. Di questo si occupa l’OIM.

Con il REAB più reintegrazione, oltre all’assistenza per il viaggio il rimpatriando viene anche assistito fino a un anno dopo il rimpatrio. Per la reintegrazione sono previsti dei fondi che non vengono dati in denaro ma in natura (acquisto macchinari o materiale, mobili ecc) o in forma di rimborso spese. 

Oltre ai budget previsti dallo stato Belga, diversi progetti finanziati dal Fondo Europeo per i Rimpatri provvedono budget extra per categorie specifiche di rimpatriandi (minori, gruppi vulnerabili, malati…) o per attività specifiche (sussidi per stipendi, ecc).

Rimpatrio forzato

Quando il richiedente asilo diniegato non rispetta l’ordine di lasciare il territorio l’Ufficio Immigrazione può procedere al rimpatrio forzato e può decidere di portarlo in un centro di detenzione per organizzarlo.

credit: Alberto Campi

Il termine per la detenzione amministrativa in preparazione dell’espulsione è di 2 mesi, rinnovabili per altri 2 mesi se l’Ufficio Immigrazione può dimostrare che il prolungamento della detenzione è necessario per il rimpatrio. 
La detenzione può essere prolungata per un altro mese con una decisione del ministro responsabile. Il termine massimo è quindi di 5 mesi. Questo non vuol dire che chi viene rilasciato una volta scaduti i termini abbia diritto ad un titolo di soggiorno. Nei fatti si può essere nuovamente arrestati e detenuti. 
Inoltre, nei confronti chi si oppone ad un tentativo di rimpatrio forzato (dunque si rifiuta di salire sull’aereo) e viene riportato nel centro di detenzione, il termine della detenzione si azzera. 
Il primo tentativo di rimpatrio forzato avviene senza scorta. Se lo straniero si oppone, il secondo tentativo avviene con la scorta della polizia.

Le case ‘aperte’ di rimpatrio
Famiglie con bambini minorenni, benché irregolari, non possono essere trattenute in centri di detenzione. Dal 2008 queste famiglie vengono portate in delle case ‘aperte’ per il rimpatrio. Si tratta di normali case da cui le famiglie possono uscire e i bambini possono andare a scuola (per questo dette ‘aperte’). Giuridicamente però sono dei luoghi di detenzione e le famiglie devono sempre farsi trovare ai momenti stabiliti per il rimpatrio. 
Le famiglie che abbandonano le case, qualora vengano nuovamente arrestate, possono essere portate nelle nuove “strutture per famiglie” all’interno dei centri di detenzione.


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