Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo è tornata più volte sul tema, fino alla famosissima sentenza del 21 gennaio 2011 nel caso M.S.S. contro Belgio e Grecia in cui aveva, tra le altre cose, condannato il Belgio per aver esposto il richiedente ai rischi derivanti dalle mancanze del sistema di asilo greco. Secondo la Corte, le autorità belghe avrebbero dovuto verificare come la Grecia applicava la normativa in materia di asilo nella pratica, senza fermarsi alla presunzione che l’interessato sarebbe stato trattato conformemente agli obblighi internazionali ed europei assunti dalla Grecia.
Il diritto di informazione diventa un articolo a parte (art. 4) e viene parecchio ampliato rispetto a Dublino II. Finalità del regolamento, conseguenze in caso di spostamento in un altro Stato e di eventuale presentazione lì di altra domanda, criteri di determinazione dello Stato competente, colloquio personale (V. anche sotto) e possibilità per il richiedente di fornire informazioni su familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela presenti negli Stati membri, possibilità di impugnare una decisione di trasferimento e, ove applicabile, di chiederne la sospensione, dati personali (incluso diritto a chiederne modifica o cancellazione se trattati illecitamente): sono tutte informazioni che vanno fornite “non appena sia presentata una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’art. 20 paragrafo 2”. Si precisa tra l’altro che le informazioni devono essere fornite (per iscritto ma se necessario per la corretta comprensione del richiedente anche oralmente) “in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile”. La Commissione europea redige a tal fine un opuscolo comune e un opuscolo apposito per i minori non accompagnati, contenenti anche informazioni sull’applicazione del Regolamento Eurodac.
Viene introdotto (art. 5) l’obbligo per gli Stati di condurre un colloquio personale al fine di agevolare la procedura Dublino. Due i casi in cui gli Stati possono non effettuare il colloquio: i) il richiedente è fuggito; ii) dopo aver ricevuto le informazioni di cui all’art.4, il richiedente ha già fornito le informazioni necessarie per determinare lo Stato competente (ma in tal caso deve essere offerta al richiedente l’opportunità di presentare ogni altra informazione pertinente prima di adottare la decisione di trasferimento).
Il colloquio va svolto prima che sia adottata la decisione di trasferimento e deve essere condotto da una persona qualificata, in condizioni che garantiscano un’adeguata riservatezza, “in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile e nella quale questi è in grado di comunicare”, ove necessario avvalendosi di un interprete che possa garantire una comunicazione adeguata. Di tale colloquio lo Stato è obbligato a redigere una sintesi scritta che contenga le principali informazioni fornite dal richiedente.
Anche le garanzie per i minori meritano ora un articolo a parte (art. 6), in cui viene ricordato innanzitutto che “L’interesse superiore del minore deve costituire un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, di tutte le procedure previste dal presente regolamento”. È introdotto l’obbligo di nominare un rappresentante del minore non accompagnato che ha accesso a tutti i documenti che riguardano la pratica del minore. Viene introdotto l’obbligo per gli Stati di tenere in debito conto, nel valutare l’interesse superiore del minore, le possibilità di ricongiungimento familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni di sicurezza (in particolare se vi è il rischio di tratta), l’opinione del minore.
Inoltre, il nuovo Regolamento prevede che, ai fini dell’applicazione dell’art. 8 (V. sotto), “lo Stato in cui il minore ha presentato una domanda di protezione internazionale adotta il prima possibile opportune disposizioni per identificare i familiari, i fratelli o i parenti del minore non accompagnato”. Si specifica poi che il personale delle autorità responsabili della procedura Dublino che trattano domande di minori non accompagnati deve aver ricevuto e continuare a ricevere “una specifica formazione in merito alle particolari esigenze dei minori”.
CAPO III. Criteri per determinare lo Stato membro competente (artt. 7-15)
Art. 7 – Gerarchia dei criteri
I criteri si applicano nell’ordine in cui sono presentati e sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro.
Art. 8 – Minori
In caso di minore non accompagnato, è competente lo Stato dove si trova legalmente il padre, la madre, o (novità rispetto a Dublino II) un altro adulto responsabile in base alla legge o alla prassi dello Stato in cui si trova l’adulto, o un fratello (o sorella), o un parente (se viene accertato in base a un esame individuale che il parente può occuparsi di lui). Nel caso in cui siano più d’uno gli Stati in cui soggiornano queste persone, lo Stato competente si determina sulla base dell’interesse superiore del minore.
In mancanza di familiari, fratelli, parenti, è competente lo Stato
dove il minore non accompagnato ha presentato la domanda di protezione.
Ma che succede se il minore, privo di familiari, fratelli o parenti sul territorio degli Stati membri, ha presentato
più di una domanda in diversi Stati? La Corte di Giustizia nella importantissima
sentenza del 6 giugno 2013 nel caso MA, BT, DA (C-648/11), ha chiarito che in tal caso la competenza spetta allo “
Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda di asilo”. In questo modo, facendo riferimento al loro miglior interesse, i minori sono stati sottratti dalla Corte alla possibilità di essere trasferiti verso Stati dove non hanno nessuno che possa occuparsi di loro.
Art. 9 – Familiari beneficiari di protezione internazionale
E’ competente lo Stato dove si trova un familiare che abbia ottenuto una protezione internazionale, a prescindere dal fatto che la famiglia fosse già costituita nel Paese di origine. Il nuovo Regolamento aggiunge la necessità che il desiderio in tal senso degli interessati sia espresso per iscritto.
Art. 10 – Familiari richiedenti protezione internazionale
E’ competente lo Stato dove si trova un familiare che ha presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora presa una prima decisione di merito. Il nuovo Regolamento aggiunge la necessità che il desiderio in tal senso degli interessati sia espresso per iscritto.
Art. 11 – Procedura familiare
Quando diversi familiari o (novità di Dublino III) fratelli minori non coniugati presentano domande di protezione internazionale congiuntamente o comunque in date sufficientemente ravvicinate, nel caso in cui l’applicazione dei criteri porterebbe ad esaminarle separatamente, è competente per l’esame delle domande di tutti i familiari o fratelli minori non coniugati lo Stato che sarebbe competente per la maggior parte di esse o, in mancanza, quello competente per l’esame della domanda del richiedente più anziano.
Art. 12 – Rilascio di titoli di soggiorno o visti
Ripete il testo dell’art. 9 di Dublino II, prevedendo dunque che:
– se il richiedente è titolare di un titolo di soggiorno valido, è responsabile lo Stato che lo ha rilasciato;
– se il richiedente è titolare di un visto valido, è responsabile lo Stato che lo ha rilasciato, salvo visti rilasciati sulla base di un “accordo di rappresentanza” (cioè per conto di un altro Stato, che dunque sarà quello responsabile);
– se il richiedente è titolare di più titoli di soggiorno o più visti validi e rilasciati da diversi Stati, è responsabile, nell’ordine, lo Stato che ha rilasciato il titolo di soggiorno più lungo o, in subordine, con la scadenza più lontana; lo Stato che ha rilasciato il visto con scadenza più lontana se si tratta di visti di analoga natura; mentre, se si tratta di visti di natura diversa, lo Stato che ha rilasciato il visto di validità più lunga o, se di validità uguale, con scadenza più lontana.
Le stesse regole di cui sopra si applicano nel caso in cui i titoli di soggiorno siano scaduti da meno di due anni e i visti siano scaduti meno di sei mesi (ma solo se avevano effettivamente permesso al richiedente di entrare nel territorio di uno Stato membro e solo fino a che il richiedente non abbia lasciato il territorio degli Stati membri). Se, viceversa, tali termini sono scaduti, è competente lo Stato dove è presentata la domanda.
Art. 13 – Ingresso e/o soggiorno
Pur trovandosi in fondo alla “gerarchia”, è senza dubbio il criterio più importante, sia statisticamente sia – se vogliamo – nell’ “immaginario collettivo” e resta invariato rispetto a Dublino II.
Quando è accertato – attraverso prove o circostanze indiziarie (V. sotto), inclusi ovviamente i dati di cui al Regolamento Eurodac – “che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente”. La responsabilità cessa 12 mesi dopo l’attraversamento clandestino della frontiera.
Quando non è (o non è più) possibile attribuire la competenza in base a quanto detto sopra, ma è accertato che il richiedente – entrato illegalmente o di cui non si possano accertare le circostanze dell’ingresso – ha soggiornato per un periodo continuato di almeno 5 mesi in uno Stato membro prima di presentare domanda di protezione internazionale, tale Stato membro è competente. Nel caso in cui il richiedente abbia soggiornato per almeno 5 mesi in più di uno Stato membro, è competente quello in cui ciò è avvenuto più di recente.
Art. 14 – Ingresso con esenzione dal visto
Se il richiedente entra in uno Stato in cui è dispensato dal visto, tale Stato è competente, a meno che la domanda non sia presentata in un altro Stato in cui parimenti il richiedente è esentato dal visto (e in tal caso quest’ultimo sarà competente).
Art. 15 – Domanda nella zona internazionale di transito di un aeroporto
Rispetto a Dublino II, è previsto che qualora “la volontà di chiedere la protezione internazionale è manifestata” (e non più “quando la domanda d’asilo è presentata”) nella zona internazionale di transito di un aeroporto di uno Stato membro, tale Stato è quello competente.
CAPO IV. Persone a carico e clausole discrezionali (artt. 16-17)
Questo capo riunifica e in parte chiarifica le disposizioni già contenute in Dublino II, in particolare nelle cosiddette “clausola di sovranità” e “clausola umanitaria”.
In particolare, il nuovo art. 16 riguarda l’obbligo degli Stati di lasciare insieme o ricongiungere le “persone a carico” (di cui in Dublino II si occupa l’art. 15.2, all’interno della “clausola umanitaria”).
Sul fatto che
si trattasse già di un obbligo e non di una mera facoltà (nonostante la versione italiana del Regolamento Dublino II dicesse il contrario), V. il nostro post
qui.
Con Dublino III
rimangono invariate le possibili situazioni di “dipendenza” che danno origine all’obbligo (gravidanza, maternità recente, malattia grave, grave disabilità, età avanzata), mentre viene chiarito – seguendo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia nel
caso K. Del 6 novembre 2012 (C-245/11) – che la dipendenza può essere
in entrambe le direzioni (cioè non importa chi delle due persone coinvolte, il richiedente o “l’altra”, si trovi in condizioni di dipendenza).
Viene invece specificato (in maniera restrittiva rispetto a Dublino II) chi può essere considerata persona a carico (o che si fa carico) del richiedente: figlio, fratello (o sorella) o genitore, sempre a condizione (questa invece già contenuta in Dublino II) che i legami familiari esistessero nel Paese di origine. Si noti che il Regolamento Dublino II faceva genericamente riferimento a “un altro parente”, locuzione al cui interno la Corte di Giustizia UE, nella citata sentenza, aveva fatto rientrare una suocera.
Sempre in senso restrittivo rispetto al Regolamento Dublino II viene poi introdotto il requisito della residenza legale del figlio, fratello (o sorella) o genitore in uno degli Stati membri, nonché la condizione che la persona che si fa carico dell’altra sia “in grado di fornire assistenza”.
Gli interessati debbono esprimere tale desiderio per iscritto.
Il secondo comma specifica anche qual è lo Stato competente a ricongiungere, nel caso in cui il richiedente e il figlio, fratello (o sorella) o genitore risiedano in Stati diversi: quello dove risiede legalmente uno di questi ultimi, a meno che la salute del richiedente non gli impedisca, per un periodo di tempo significativo, di recarsi indetto Stato. In tal caso, la competenza è dello Stato dove si trova il richiedente. Tale Stato però non sarà in tal caso obbligato a condurre il figlio, fratello (o sorella) o genitore del richiedente nel suo territorio.
L’art. 17, al primo comma, riprende l’art. 3.2 del Regolamento Dublino II, c.d. “clausola di sovranità”, stabilendo che “ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda [..] anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento”.
Si tratta di una decisione
completamente lasciata alla discrezione degli Stati (sulla base di considerazioni di tipo politico, pragmatico, umanitario, compassionevole,…) e che
non è soggetta ad alcuna condizione (nemmeno, e questo è criticabile, al consenso dell’interessato), né dipende dall’atteggiamento dello Stato che sarebbe competente in base ai criteri, come confermato dalla Corte di Giustizia UE, nella
sentenza Zuheyr Frayeh Halaf del 30 maggio 2013 (C-528/11).
Rispetto a Dublino II, il nuovo testo aggiunge l’obbligo per lo Stato che decide di esaminare una domanda ai sensi di quest’articolo di indicarlo nell’Eurodac.
Il secondo comma dell’art. 17 riprende, con una formula leggermente diversa, l’altra parte della c.d. “clausola umanitaria” già contenuta nell’art. 15.1 di Dublino II: si prevede cioè che lo Stato che procede alla determinazione dello Stato competente o lo stesso Stato competente possano, prima che sia presa una decisione nel merito, chiedere a un altro Stato “di prendere in carico un richiedente al fine di procedere al ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela, per ragioni umanitarie, fondate in particolare su motivi familiari o culturali, anche se tale altro Stato membro non è competente”. Altre novità rispetto a Dublino II: lo Stato che riceve la richiesta deve rispondere entro due mesi, motivando l’eventuale rifiuto. Non è prevista però alcuna conseguenza in caso di mancata risposta.
Si specifica inoltre che il consenso delle persone interessate deve essere espresso per iscritto.
CAPO V – Obblighi dello Stato membro competente (artt. 18-19)
Questo Capo consta di due articoli che riprendono, con maggior chiarezza, le disposizioni di cui all’art. 16 di Dublino II sugli obblighi dello Stato competente e i casi di cessazione delle competenze.
Presa o ripresa in carico?
La differenza importante da tenere sempre presente è quella tra “presa in carico” e “ripresa in carico”. La prima riguarda i casi in cui la competenza per l’esame della domanda è individuata attraverso i criteri di cui al Capo III. La seconda riguarda i casi in cui tale competenza deriva dal fatto che uno Stato ha già avviato (a volte anche concluso) l’esame di una domanda di protezione internazionale, che dunque non deve essere esaminata da nessun altro Stato membro.
L’art. 18 prevede che lo Stato membro competente è tenuto a:
1) prendere in carico il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato,
2) riprendere in carico i) il richiedente la cui domanda è in corso d’esame, ii) il cittadino di un Paese terzo o apolide che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame, iii) il cittadino di un paese terzo o apolide di cui ha respinto la domanda, nei casi in cui l’interessato (i, ii o iii) abbia presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trovi nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno.
Nel caso di presa in carico di un richiedente (caso 1) o di ripresa in carico di un richiedente la cui domanda è in corso di esame (caso 2, i), lo Stato competente è obbligato a esaminare o portare a termine l’esame della domanda di protezione internazionale.
Nel caso invece di ripresa in carico dopo ritiro della domanda prima di una decisione sul merito di primo grado (caso 2, ii), l’interessato ha diritto di chiedere che l’esame della sua domanda sia portato a termine ovvero di presentare una nuova domanda che non sarà trattata come domanda reiterata ai sensi della Direttiva Procedure. Questo caso non era disciplinato da Dublino II, il che ha dato luogo a prassi negative da parte in particolare di uno Stato (l’Ungheria) che trattava le domande in questione come “interrotte” e non concedeva la possibilità di riaprirle ad un esame sul merito, una volta accettata la richiesta di ripresa in carico.
Nel caso infine di ripresa in carico dopo che la domanda è stata respinta in primo grado (caso 2, iii), lo Stato competente assicura che l’interessato abbia o abbia avuto la possibilità di ricorrere a un mezzo di impugnazione efficace ai sensi della Direttiva Procedure. Anche questo caso viene disciplinato per la prima volta con Dublino III.
L’art. 19 prevede invece che tali obblighi vengano meno se:
1) uno Stato membro – non competente – rilascia al richiedente un titolo di soggiorno (in tal caso gli obblighi ricadono su detto Stato);
2) lo Stato competente può stabilire, al momento in cui gli viene chiesto di prendere o riprendere in carico, che l’interessato si è allontanato dal territorio degli Stati membri per almeno 3 mesi (sempre che non sia in possesso di un titolo di soggiorno valido rilasciato dallo Stato competente). Dublino III precisa che la domanda presentata dopo 3 mesi di assenza dal territorio degli Stati membri è considerata una nuova domanda e dà luogo a una nuova determinazione dello Stato competente;
3) lo Stato membro può stabilire, al momento in cui gli viene chiesto di riprendere in carico una persona che ha ritirato la sua domanda di protezione internazionale o la cui domanda è stata respinta, che l’interessato ha lasciato il territorio degli Stati membri conformemente a una decisione di rimpatrio o allontanamento emessa a seguito del ritiro o rigetto della domanda.
Dublino III precisa che la domanda presentata dopo un allontanamento effettivo è considerata una nuova domanda e dà luogo a una nuova determinazione dello Stato competente.
CAPO VI – Procedure di presa in carico e di ripresa in carico (artt. 20-33)
Questo capo, particolarmente lungo e importante, si divide in ben 6 Sezioni, dedicate rispettivamente a:
– avvio della procedura Dublino
– procedure per le richieste di presa in carico
– procedure per le richieste di ripresa in carico
– garanzie procedurali (notifica, mezzi di impugnazione contro le decisioni di trasferimento)
– trattenimento ai fini del trasferimento
– trasferimenti (modalità, costi, scambio di informazioni,…): questa sezione, e non ne capiamo il perché, contiene anche l’art. 33, sul “meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi”, che tratteremo invece separatamente.
Sezione I – Avvio della procedura (art. 20)
Riprende, con qualche modifica, l’art. 4 di Dublino II.
La procedura Dublino si avvia “non appena una domanda di protezione internazionale è presentata per la prima volta in uno Stato membro”, cioè “non appena le autorità competenti dello Stato membro interessato ricevono un formulario presentato dal richiedente o un verbale redatto dalle autorità”. Si precisa che, nel caso di domanda non scritta, il periodo che intercorre tra dichiarazione di volontà e stesura del relativo verbale “deve essere quanto più breve possibile”.
La situazione del minore è indissociabile da quella del familiare e rientra nella competenza dello Stato competente per l’esame della domanda del familiare, anche se il minore non è personalmente un richiedente e purché ciò sia nell’interesse superiore del minore.
Che succede poi se una persona si reca in un altro Stato durante la procedura Dublino?
Ce lo dice il par. 5 (modificato rispetto a Dublino II): lo Stato dove è stata presentata per la prima volta domanda di protezione internazionale è tenuto, al fine di portare a termine la procedura Dublino, a riprendere in carico tale persona sia nel caso in cui questa si trovi in un altro Stato senza un titolo di soggiorno, sia nel caso in cui l’interessato abbia presentato nell’altro Stato domanda di protezione internazionale dopo aver ritirato la prima domanda (Dublino II prevede tale obbligo solo nei confronti di chi si trova in un altro Paese “e” ha presentato colà una nuova domanda di asilo dopo aver ritirato la prima domanda).
Tale obbligo viene meno se lo Stato può stabilire che il richiedente ha nel frattempo lasciato il territorio degli Stati membri per almeno 3 mesi oppure che un altro Stato gli ha rilasciato un titolo di soggiorno. La domanda presentata dopo un’assenza di tre mesi dal territorio degli Stati membri è considerata nuova e dà inizio a una nuova procedura Dublino.
E se una persona ritira la sua domanda durante la procedura Dublino e si reca in un altro Stato senza presentare in quest’ultimo una nuova domanda?
A riguardo, il Regolamento Dublino III (come del resto il II) nulla dice. La Corte di Giustizia UE nella
sentenza del 3 maggio 2012 sul caso Kastrati (C-620/10) aveva però interpretato il Regolamento Dublino II nel senso che il ritiro dell’unica domanda di protezione internazionale prima che lo Stato competente abbia accettato di prendere in carico il richiedente
produce l’effetto di rendere inapplicabile il Regolamento Dublino. In tal caso, infatti, l’obiettivo principale del Regolamento, cioè l’individuazione dello Stato competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, non può più essere conseguito.
Sezione II – Procedure per le richieste di presa in carico (artt. 21-22)
La richiesta di presa in carico allo Stato individuato come competente deve essere avanzata – utilizzando un formulario comune e allegando elementi di prova o circostanze indiziarie e/o elementi tratti dalle dichiarazioni del richiedente – al più tardi entro 3 mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale.
Tale termine (e questa è una novità introdotta da Dublino III) si riduce a 2 mesi nel caso in cui la competenza sia stata individuata grazie ai dati registrati ai sensi dell’art. 14 del Regolamento Eurodac (impronte digitali delle persone fermate mentre attraversano irregolarmente una frontiera esterna).
Nel caso in cui i termini suddetti non siano rispettati, la competenza spetta allo Stato a cui è stata presentata la domanda.
E’ possibile anche sollecitare una risposta urgente in certi casi: domanda presentata a seguito di rifiuto di ingresso o di soggiorno, di arresto per soggiorno irregolare, di notifica o esecuzione di un provvedimento di allontanamento.
Lo Stato membro richiesto deve rispondere entro due mesi dalla richiesta ovvero entro il termine indicato dallo Stato richiedente in caso di urgenza. Qualora sia dimostrabile che l’esame di una richiesta urgente è particolarmente complesso, è possibile fornire la risposta entro un mese.
La mancata risposta entro i termini suddetti (due mesi o un mese in caso di urgenza) equivale ad accettazione della richiesta.
Le prove e le circostanze indiziarie utilizzate per determinare lo Stato competente sono stabilite, e periodicamente riesaminate, dalla Commissione. In mancanza di prove formali, lo Stato richiesto si dichiara competente se le circostanze indiziarie sono coerenti, verificabili e sufficientemente particolareggiate per stabilire la competenza.
Sezione III – Procedure per le richieste di ripresa in carico (artt. 23-25)
Le richieste di ripresa in carico si distinguono ulteriormente a seconda che l’interessato abbia o meno presentato una nuova domanda nello Stato membro richiedente dopo averla presentata nello Stato richiesto. Si noti che Dublino III introduce un termine – inesistente in Dublino II – entro cui deve essere chiesta la ripresa in carico.
L’art. 23 si occupa del caso in cui sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale nello Stato richiedente. In tal caso, lo Stato presso cui soggiorna un richiedente che aveva già presentato domanda di protezione internazionale (in corso d’esame, ritirata o respinta) in un altro Stato deve chiedere a quest’ultimo la ripresa in carico entro due mesi dal ricevimento della risposta da Eurodac ovvero entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale, se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse da Eurodac.
Se questi termini non vengono rispettati, la competenza spetta allo Stato in cui la nuova domanda è stata presentata.
L’art. 24 si occupa invece del caso in cui non sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale nello Stato richiedente. In tal caso, lo Stato in cui soggiorna senza titolo una persona che ha presentato domanda di protezione internazionale (in corso d’esame, ritirata o respinta con decisione non definitiva) in un altro Stato, può chiedere a quest’ultimo di riprendere in carico l’interessato entro 2 mesi dal ricevimento della risposta del sistema Eurodac, ovvero entro 3 mesi dalla data in cui apprende che un altro Stato può essere competente, se la richiesta è basata da prove diverse da Eurodac.
Se questi termini non vengono rispettati, lo Stato in cui si trova l’interessato offre a quest’ultimo la possibilità di presentare una nuova domanda.
Qualora invece la domanda fosse stata respinta con decisione definitiva dal primo Stato, lo Stato in cui si trova l’interessato può, alternativamente, chiedere la ripresa in carico (questa volta senza alcun termine) ovvero avviare una procedura di rimpatrio ai sensi della Direttiva Rimpatri (2008/115/CE). La richiesta di ripresa in carico rende invece inapplicabile la Direttiva Rimpatri.
La risposta dello Stato richiesto deve intervenire entro 1 mese dalla data in cui perviene la richiesta o 2 settimane quando la richiesta è basata su dati Eurodac. La mancata risposta entro i termini suddetti equivale ad accettazione della richiesta.
Sezione IV – Garanzie procedurali (artt. 26-27)
L’accettazione della richiesta di presa o ripresa in carico da parte dello Stato richiesto comporta l’obbligo a carico dello Stato richiedente di notificare all’interessato (o al suo avvocato o consulente legale) la decisione di trasferimento, inclusi (novità introdotta da Dublino III) i mezzi di impugnazione e il diritto di chiedere l’effetto sospensivo (ove applicabile), i termini per esperirli, quelli relativi al trasferimento, e le informazioni relative alle persone o agli enti che possono fornire all’interessato assistenza legale.
L’art. 27 si occupa dei mezzi di impugnazione e, innovando rispetto a Dublino II, prevede il “diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale” (si veda anche il Considerando n° 19 del Preambolo).
Dublino III prevede inoltre che gli Stati stabiliscano “un termine ragionevole entro il quale l’interessato può esercitare” tale diritto.
Non è tuttavia obbligatorio che gli Stati prevedano un ricorso automaticamente sospensivo.
Infatti, il comma 3 dell’art. 27 stabilisce che gli Stati devono prevedere nel proprio diritto nazionale, alternativamente:
a) che il ricorso o la revisione conferiscano il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito del ricorso o revisione; o
b) che il trasferimento sia automaticamente sospeso per un periodo ragionevole durante il quale un organo giurisdizionale ha adottato, dopo un esame attento e rigoroso, la decisione di concedere tale effetto sospensivo; o
c) che all’interessato sia offerta la possibilità di chiedere, entro un termine ragionevole, all’organo giurisdizionale di sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o revisione. In tal caso, l’effettività del ricorso è assicurata sospendendo il trasferimento fino alla decisione sulla richiesta di sospensione, che deve essere adottata entro un termine ragionevole, che permetta un esame attento e rigoroso. L’eventuale decisione di non sospendere deve essere motivata.
Si tratta di un notevole passo avanti rispetto a Dublino II.
Tuttavia, la lett.c del comma 3 dell’art. 27 prevede ancora la possibilità che il ricorso non abbia effetto automaticamente sospensivo.
Si noti che la Commissione aveva proposto di prevedere almeno un obbligo in capo all’organo giurisdizionale di decidere d’ufficio entro sette giorni lavorativi sulla sospensione o meno. Nemmeno la Commissione, come si può vedere, se l’era sentita di proporre un effetto sospensivo automatico.
Deve essere assicurato all’interessato l’accesso all’assistenza legale e, se necessario, all’assistenza linguistica. L’assistenza legale deve essere concessa gratuitamente se l’interessato non può assumersene i costi, anche se gli Stati possono rifiutarsi di concederla se l’autorità competente o l’organo giurisdizionale ritengono che il ricorso o la revisione non abbiano prospettive concrete di successo, garantendo tuttavia che l’assistenza e la rappresentanza legale non siano oggetto di restrizioni arbitrarie e prevedendo comunque il diritto a un ricorso effettivo qualora tale decisione sia assunta da un’autorità diversa da un organo giurisdizionale.
Sezione V – Trattenimento ai fini del trasferimento (art. 28)
Il Regolamento Dublino II non disciplinava il tema del trattenimento dei richiedenti asilo soggetti alla procedura Dublino. Come conseguenza, gli Stati hanno fatto un largo uso del trattenimento nei confronti della persone in procedura Dublino, come evidenziato anche dalla relazione della Commissione europea sul funzionamento del sistema di Dublino (COM 2007/299).
Per questo, al fine di limitare il ricorso al trattenimento, la Commissione ha proposto di disciplinare la materia all’interno di Dublino III.
L’art. 28 richiama dunque la regola generale per cui “Gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo motivo che sia oggetto della procedura” Dublino.
È previsto tuttavia che, “ove esista un rischio notevole di fuga” (V. sopra, definizione di rischio di fuga), gli Stati possono trattenere l’interessato “al fine di assicurare le procedure di trasferimento a norma del presente regolamento, sulla base di una valutazione caso per caso e solo se il trattenimento è proporzionale e se non possano essere applicate efficacemente altre misure alternative meno coercitive”. Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile e “non supera il tempo ragionevolmente necessario agli adempimenti amministrativi previsti da espletare con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento”.
La proposta della Commissione in realtà era molto più ampia e conteneva altre garanzie (come l’obbligo che il trattenimento fosse disposto dall’autorità giudiziaria e riesaminato dalla stessa a intervalli ragionevoli) che sono state eliminate nel corso dei negoziati. La disposizione che ne risulta – contenente diversi termini ambigui – non elimina certamente il rischio di elevata discrezionalità da parte degli Stati.
Si noti poi che il Considerando n° 20 di Dublino III fa riferimento alla nuova Direttiva Accoglienza, le cui disposizioni in materia di garanzie e condizioni di trattenimento dovrebbero applicarsi anche alle persone trattenute sulla base del Regolamento Dublino.
In generale,
sull’applicazione della Direttiva Accoglienza anche alle persone in procedura Dublino (dunque non solo a quelle trattenute), una
sentenza della Corte di Giustizia del 27 settembre 2012, nel caso Cimade e Gisti (C-179/11) ha stabilito che gli Stati sono
obbligati a concedere le condizioni di accoglienza anche ai richiedenti asilo per i quali decidano – in applicazione del Regolamento Dublino – di indirizzare una richiesta di presa in carico o di ripresa in carico a un altro Stato membro e che tale onere cessa solo al momento del trasferimento effettivo.
Il Regolamento Dublino III prevede poi, per le persone trattenute, dei percorsi accelerati per identificare lo Stato competente e per procedere al trasferimento.
Infatti, in caso di trattenimento, la richiesta di presa o ripresa in carico deve intervenire entro 1 mese dalla presentazione della domanda (pena l’obbligo a rilasciare la persona trattenuta) e deve contenere la richiesta di una risposta urgente. Tale risposta deve essere fornita entro 2 settimane dal ricevimento della richiesta, altrimenti la competenza si considera accettata.
Il trasferimento di una persona trattenuta deve avvenire “non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei settimane dall’accettazione implicita o esplicita della richiesta” o dal momento in cui il ricorso o la revisione non hanno più effetto sospensivo.
Sui termini dei trasferimenti in caso di ricorso sospensivo è intervenuta una sentenza della Corte di Giustizia UE di cui ci occupiamo sotto.
Se il trasferimento non avviene entro il termine previsto sopra, la persona non è più trattenuta.
Sezione VI – Trasferimenti (artt. 29-32)
L’art. 29 di Dublino III conferma il termine per effettuare un trasferimento già contenuto in Dublino II: entro 6 mesi, prorogabili fino a 12 mesi in caso di impossibilità a trasferire dovuta al fatto che l’interessato è detenuto e fino a 18 mesi qualora l’interessato sia fuggito.
La decorrenza di tale termine scatta dall’accettazione di prendere o riprendere in carico l’interessato o dalla decisione (viene specificato da Dublino III) “definitiva” su un ricorso o una revisione qualora abbiano effetto sospensivo.
La parola “definitiva” introdotta da Dublino III, deriva ancora una volta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in particolare dalla sentenza del 29 gennaio 2009 nel caso Petrosian (C-19/08). In tale sentenza la Corte, rispondendo a un giudice svedese che voleva sapere se il termine di esecuzione del trasferimento decorra già a partire dalla decisione giurisdizionale provvisoria che sospende l’esecuzione del procedimento di trasferimento, oppure soltanto a partire dalla decisione giurisdizionale che statuisce sul merito, aveva chiarito che tale termine decorre a partire dalla decisione che si pronuncia sul merito.
Qualora il trasferimento non avvenga entro i termini suddetti, la competenza è trasferita allo Stato richiedente.
Viene introdotto l’obbligo di effettuare i trasferimenti “in modo umano e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana”, qualora essi avvengano sotto forma di partenza controllata o sotto scorta.
Un’altra novità introdotta da Dublino III riguarda la disciplina dei casi di trasferimento erronei o modificati in sede giurisdizionale dopo che il trasferimento era già stato eseguito. In tali casi, è ora previsto l’obbligo per lo Stato che ha provveduto al trasferimento di riprendere in carico l’interessato “immediatamente”.
Circa i costi del trasferimento, l’art. 30 prevede ora che “sono a carico dello Stato membro che provvede al trasferimento”; i costi del rinvio a seguito di trasferimento erroneo o modificato in sede giurisdizionale sono a carico dello Stato che ha inizialmente provveduto al trasferimento. Tali costi non sono imputabili alle persone da trasferire.
Gli articoli 31 e 32, introdotti da Dublino III, sono dedicati allo scambio di, rispettivamente, informazioni utili e dati sanitari tra Stati, prima del trasferimento.
L’art. 31 prevede l’obbligo per lo Stato che procede al trasferimento di comunicare allo Stato di destinazione – entro un “periodo ragionevole prima del trasferimento” – i dati della persona da trasferire “che sono idonei, pertinenti e non eccessivi” e solo al fine di garantire che le autorità dello Stato competente siano in grado di fornire all’interessato un’assistenza adeguata (comprese le cure mediche immediate necessarie per la salvaguardia dei suoi interessi vitali) e di garantire la continuità della protezione e dei diritti.
Lo Stato che effettua il trasferimento comunica inoltre all’altro Stato qualsiasi informazione che ritiene necessaria per tutelare i diritti e le esigenze specifiche immediate della persona da trasferire e in particolare: le misure da adottare per soddisfare le esigenze particolari dell’interessato, comprese eventuali cure mediche che potrebbero essere richieste; estremi di familiari o persone legate da altri vincoli di parentela nello Stato di destinazione; informazioni sull’istruzione dei minori; stima dell’età del richiedente.
Tali informazioni “possono essere utilizzate soltanto per le finalità previste dal paragrafo 1 del presente articolo e non sono oggetto di ulteriore trattamento”.
L’art. 32 prevede invece, “al solo scopo di somministrare assistenza medica o terapie, in particolare a disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, minori e persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”, l’obbligo dello Stato che procede al trasferimento di comunicare allo Stato di destinazione informazioni su eventuali esigenze specifiche della persona da trasferire, inclusi dati sullo stato di salute fisica e mentale.
Le informazioni suddette sono comunicate soltanto “previo consenso esplicito” dell’interessato o, se questi si trova in condizioni di incapacità a prestare tale consenso, le informazioni sono comunicate “quando tale trasmissione è necessaria per la salvaguardia degli interessi vitali” dell’interessato o di un’altra persona. Si precisa comunque che il mancato consenso non osta al trasferimento.
Lo Stato di destinazione ha invece l’obbligo di assicurare che “si provveda adeguatamente a tali esigenze specifiche, prestando in particolare cure mediche essenziali”.
Si specifica inoltre che il trattamento di questi dati deve essere effettuato “unicamente da un professionista della sanità che è tenuto al segreto professionale” o da altra persona soggetta ad obbligo equivalente.
Le informazioni scambiate “possono essere utilizzate soltanto per le finalità previste al paragrafo 1 del presente articolo e non sono oggetto di ulteriore trattamento”.
Meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi (art. 33)
Le gravi conseguenze causate dall’applicazione del Regolamento Dublino II in un contesto di forti disparità fra gli Stati membri quanto ad accoglienza, procedure, prospettive di inserimento socio-economico avevano portato la Commissione a introdurre nella proposta di modifica del Regolamento, un correttivo piuttosto forte, consistente in un meccanismo per la sospensione temporanea dei trasferimenti Dublino in certi casi. Tale sospensione sarebbe stata decisa dalla Commissione stessa, qualora uno Stato si fosse trovato a fronteggiare una situazione di pressione particolare o quando il livello di protezione dei richiedenti protezione internazionale fornito da uno Stato fosse stato al di sotto degli standard europei.
In fase di negoziati tale meccanismo di sospensione è stato scartato e sostituito da un più morbido meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi.
i) fase “preventiva”: quando, sulla base in particolare delle informazioni ottenute dall’EASO, la Commissione stabilisce che l’applicazione del Regolamento Dublino III è ostacolata da un “rischio comprovato di speciale pressione sul sistema di asilo di uno Stato membro e/o da problemi nel funzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro”, essa – in collaborazione con l’EASO – rivolge “raccomandazioni a tale Stato membro invitandolo a redigere un piano d’azione preventivo”.
Lo Stato interessato informa quindi – ma non è previsto un termine entro cui è obbligato a farlo – il Consiglio e la Commissione della sua intenzione di presentare tale piano d’azione preventivo al fine di rimediare alla situazione “pur garantendo la protezione dei diritti fondamentali dei richiedenti la protezione internazionale”. Tale piano d’azione preventivo può essere redatto da uno Stato anche su propria iniziativa.
Il piano viene poi sottoposto al Consiglio UE e alla Commissione europea che ne informa il Parlamento europeo. Lo Stato in questione adotta quindi “tutte le misure appropriate per affrontare la situazione di speciale pressione sul suo sistema di asilo o per assicurare che le carenze individuate siano risolte prima del deteriorarsi della situazione”.
ii) fase “d’azione”: qualora la Commissione, sulla base dell’analisi dell’EASO, stabilisca che l’attuazione della fase i) non abbia posto rimedio alla situazione o che vi siano gravi rischi che la situazione diventi critica, essa, in cooperazione con l’EASO, può chiedere allo Stato interessato di “redigere un piano d’azione per la gestione delle crisi”. Durante tutto il processo, “il piano d’azione per la gestione delle crisi assicurerà il rispetto dell’acquis in materia di asilo dell’Unione, in particolare dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale”.
In questo caso è previsto un termine: a seguito della richiesta di redigere un piano d’azione, lo Stato deve intervenire al più tardi entro 3 mesi. Successivamente alla presentazione del piano, almeno ogni 3 mesi, lo Stato interessato deve fornire una relazione sull’attuazione del piano, in cui riferire i dati per controllare il rispetto del piano (durata della procedura, condizioni di trattenimento, capacità di accoglienza in relazione all’afflusso).
L’ultimo comma dell’art. 33 prevede poi che il Consiglio dell’Unione segua da vicino la situazione e possa chiedere maggiori informazioni e fornire orientamenti politici. “Per tutta la durata del processo, Consiglio e Parlamento seguono possono esaminare e fornire orientamenti in merito a eventuali misure di solidarietà che ritengano opportune”.
Quello che il Regolamento non dice è
cosa prevede la fase iii). Cioè, se anche dopo il piano d’azione la situazione non dovesse migliorare ovvero addirittura peggiorasse fino a diventare una “crisi”, cosa succederebbe? Si ricordi l’art. 3 del Regolamento e l’impossibilità di procedere ai trasferimenti in certi casi. Ma certo un meccanismo di sospensione temporanea dei trasferimenti, azionabile dalla Commissione europea e valido per tutti gli Stati,
sarebbe stato preferibile in quanto avrebbe evitato il rischio di procedere in ordine sparso – come già avvenuto per la Grecia prima della sentenza M.S.S. -, con alcuni Stati che reputano possibili trasferimenti che in realtà non lo sono.
Su questo punto, consigliamo di rileggere la nostra
intervista al Prof. Francesco Maiani.
CAPO VII – Cooperazione amministrativa (artt. 34-36)
L’art. 34 si occupa dello “scambio di informazioni” tra Stati membri, ai fini non solo dell’applicazione del Regolamento Dublino, ma anche dell’esame della domanda. Le informazioni scambiabili, soltanto però nel contesto di una specifica domanda di protezione internazionale, sono elencate al comma 2 e al comma 3. In particolare, lo Stato competente può chiedere a un altro Stato di comunicargli le ragioni invocate dal richiedente a sostegno della domanda e le ragioni dell’eventuale decisione adottata nei suoi confronti. Tali informazioni sono comunicabili solo con il consenso scritto del richiedente che deve poter conoscere (novità introdotta da Dublino III) le informazioni alla cui comunicazione acconsente.
In ogni caso, lo Stato richiesto deve rispondere entro 5 settimane (una in meno rispetto a Dublino II). Inoltre, altra novità introdotta da Dublino III, se dalle informazioni fornite in ritardo emerge la dimostrazione della competenza dello Stato richiesto, tale Stato non può invocare la scadenza dei termini per la presentazione della richiesta di presa o ripresa in carico, che sono dunque prorogati di un periodo equivalente al ritardo.
Il richiedente ha diritto di conoscere i dati che lo riguardano, nonché di ordinarne la rettifica o cancellazione, se incompleti o inesatti.
L’art. 35 prevede l’obbligo per gli Stati di notificare (“immediatamente”, aggiunge Dublino III) alla Commissione le autorità responsabili per l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Regolamento. Tali autorità debbono poter disporre delle “risorse necessarie per lo svolgimento dei loro compiti e in particolare per rispondere entro i termini previsti alle richieste”. Esse ricevono inoltre (altra novità introdotta da Dublino III) “la necessaria formazione in merito all’applicazione” del Regolamento.
L’art. 36 prevede la possibilità per gli Stati di concludere o mantenere accordi bilaterali per facilitare l’attuazione del Regolamento. Si prevede però (ed è un’altra novità introdotta da Dublino III) che gli Stati, di loro iniziativa ovvero su richiesta della Commissione, sono tenuti a modificare l’accordo se questo è incompatibile con il Regolamento.
CAPO VIII – Conciliazione (art. 37)
Dublino III introduce la procedura di conciliazione, in caso di disaccordo persistente fra gli Stati sull’applicazione del Regolamento. La soluzione è proposta da un comitato composto da 3 membri in rappresentanza di altrettanti Stati estranei alla controversia. Gli Stati a cui è diretta la soluzione si impegnano a tenerla in massima considerazione (ma non ne sono vincolati)
CAPO IX – Disposizioni transitorie e finali (artt. 38-49)
Gli Stati adottano tutte le misure appropriate per “garantire la sicurezza dei dati personali trasmessi” (art. 38); garantiscono che le autorità responsabili dell’applicazione del Regolamento siano vincolate da norme in materia di riservatezza (art. 39); adottano le misure necessarie per garantire che ogni abuso dei dati trattati sia passibile di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” (art. 40).
L’art. 42 riguarda il calcolo dei termini e non presenta differenze rispetto alla modalità attuale, disciplinata dall’art. 25 di Dublino II.
La Commissione europea dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio UE una relazione sull’applicazione del Regolamento entro il 21 luglio 2016. In tale relazione potrà proporre all’occorrenza le necessarie modifiche (art. 46).
L’art. 47 introduce l’obbligo per gli Stati di trasmettere alla Commissione statistiche sull’applicazione del Regolamento.
Il Regolamento Dublino II è abrogato, così come alcuni articoli del suo Regolamento attuativo (Regolamento 1560/2003) (art. 48).
Tuttavia, esso continua ad applicarsi alle domande presentate prima del 1/1/2014, data a partire dalla quale si applicherà il Regolamento Dublino III. (art. 49)