Riceviamo questa segnalazione da Maurizio Braglia, che ringraziamo molto, e la pubblichiamo con piacere.
La connessione tratta-asilo è un tema importante, delicato e certamente di grande interesse. In questo, la cosiddetta “Emergenza Nord Africa” ha sicuramente aiutato molti operatori ad acquisire maggiore consapevolezza ma altrettanto ha messo in luce carenze di collegamenti tra i diversi sistemi di protezione e necessità di formazione sul tema.

Dal nostro punto di vista, segnaliamo poi che la legge delega al Governo italiano per il recepimento di direttive e altri atti dell’UE (Legge di delegazione europea 2013), stabilisce che, ai fini del recepimento della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, il Governo è tenuto, tra le altre cose, a:
prevedere misure che facilitino il coordinamento tra le istituzioni che si occupano di tutela e assistenza alle vittime di tratta e quelle che hanno competenza sull’asilo, determinando meccanismi di rinvio, qualora necessario, tra i due sistemi di tutela“.




Siamo ovviamente molto interessati al tema e ci piacerebbe continuare a parlarne, ospitando anche altri contributi. Nel rimandarvi dunque alla lettura delle prossime righe, dove si parlerà del riconoscimento dello status di rifugiato a tre donne nigeriane vittime di tratta (con link ai provvedimenti positivi), vi invitiamo a farci pervenire ulteriori segnalazioni o riflessioni in proposito. 


Segnalazione: Riconoscimento dello status di rifugiato a donne nigeriane vittime di tratta


Segnalo all’associazione Asilo in Europa alcuni verbali relativi al riconoscimento, da parte della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino – in un caso Sezione distaccata di Bologna – dello status di rifugiato a donne nigeriane vittime di tratta, giunte dalla Libia e accolte nell’ambito dell’Emergenza Nord Africa all’interno di strutture del territorio emiliano-romagnolo. 

Nei casi in oggetto, il riconoscimento dello status di rifugiato ha rappresentato il coronamento di un articolato percorso di intervento sociale che sembra interessante riportare, come esempio di raccordo tra differenti sistemi nazionali di protezione: da un lato, quelli rivolti a richiedenti o titolari di protezione internazionale o umanitaria e, dall’altro, quello rivolto a vittime di grave sfruttamento e tratta di esseri umani.

Il tema del raccordo tra sistemi di protezione diversi rappresenta negli ultimi anni uno dei punti di attenzione delle attività del progetto “Oltre la Strada”, che da oltre quindici anni – all’interno del Servizio Politiche per l’Accoglienza e l’Integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna – promuove e coordina la rete regionale di Enti Locali e di soggetti del Terzo settore che realizzano gli interventi di assistenza a vittime di grave sfruttamento e tratta previsti dalla normativa nazionale. 

In termini operativi, la sperimentazione di forme di collaborazione con chi lavora nel campo dell’asilo ha conosciuto un significativo incremento con i primi arrivi nel territorio regionale relativi all’Emergenza Nord Africa, e con l’avvio di azioni rivolte all’emersione di potenziali vittime di grave sfruttamento e tratta inserite nel sistema di accoglienza predisposto dalla Protezione civile. Tali azioni erano mirate a promuovere tra i soggetti titolari di interventi la conoscenza reciproca e la condivisione di indicatori di sfruttamento e tratta, e favorire la segnalazione di potenziali vittime.

In questo quadro, ha trovato spazio la riflessione sul rapporto tra i diversi strumenti di tutela previsti dalla normativa: le forme di protezione internazionale rivolte alle persone straniere in fuga da forme di persecuzione o grave danno che potrebbero subire nel loro Paese, e l’art.18 del Testo Unico sull’Immigrazione, che prevede misure di sostegno a vittime di sfruttamento e violenza in pericolo per il loro tentativo di sottrarsi alla loro condizione, e che rappresenta il pilastro del modello italiano di assistenza alle vittime di tratta di esseri umani.

Le due forme di protezione non sono esclusive: le forme di tutela rivolte a vittime di tratta non pregiudicano l’esercizio di altri diritti, quali ad esempio la richiesta di protezione internazionale.
Questo appare essere il principio di base da cui partire per poter raccordare l’intervento degli operatori sociali che operano nei due sistemi: tecnicamente, è assolutamente concepibile il fatto che una vittima di tratta possa fare ingresso in un “programma articolo 18” – essere accolta in una struttura, beneficiare di assistenza legale, azioni di formazione, inserimento lavorativo… –  e allo stesso tempo chiedere asilo. Sono due strumenti che non rappresentano binari paralleli, ma possono intrecciarsi, naturalmente nei casi in cui i requisiti lo permettano.

La documentazione allegata conferma pienamente questa impostazione, volta a offrire, alla persona beneficiaria dell’intervento sociale, nello stesso tempo la più alta forma di tutela prevista dalla normativa, (in questo caso, lo status di rifugiato) assieme alle più efficaci misure di assistenza disponibili (in questo caso, quelle previste da un programma di assistenza e protezione sociale ex art.18).

Dei tre verbali: due (Primo caso e secondo caso), dell’aprile 2013, appaiono assolutamente sovrapponibili, in quanto relativi al caso di due donne partite assieme dalla Libia, e che hanno proseguito assieme l’intero successivo percorso, seguite dal Centro Stranieri del Comune di Modena (ente di riferimento sia per gli interventi dell’Emergenza Nord Africa, che per la rete SPRAR, che per il progetto Oltre la Strada); il terzo caso, del novembre 2012, è relativo al caso di una donna seguita dall’équipe del progetto territoriale “Oltre la Strada” dell’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona del distretto di Cesena – Valle Savio, ente gestore in materia di interventi di lotta alla tratta per il Comune di Cesena.

La lettura dei due verbali dell’aprile 2013 porta a ritenere che la decisione della Commissione Territoriale abbia tenuto in decisiva considerazione il fatto che “la richiedente, già in data … , ha reso analoghe dichiarazioni in merito al suo stato di assoggettamento”, ed il fatto che “la Procura di… sulla scorta di tali dichiarazioni, abbia dato inizio alle indagini preliminari”: per la Commissione, infatti, è verosimile che “la vicenda processuale penale in cui è coinvolta l’interessata come parte lesa possa acuire il rischio temuto dalla medesima di incorrere essa stessa o piuttosto i suoi familiari in ritorsioni di natura persecutoria”.

Il verbale del novembre 2012 appare più articolato: sono ritenuti essere sussistenti “i presupposti per lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1(A)2 della Convenzione di Ginevra, dal momento che la Richiedente ha subito gravi violenze in ragione del proprio genere e della propria condizione di vulnerabilità”. Anche in questo caso, comunque, è sottolineato il rischio di ritorsioni per il fatto di aver sporto denuncia.

E’ sicuramente da sottolineare come questo riferimento rappresenti un vero riconoscimento indiretto alla bontà del lavoro di sostegno e supporto svolto dalle équipes territoriali che hanno seguito i casi in oggetto: all’interno del sistema nazionale di interventi sulla tratta, le buone pratiche hanno dimostrato chiaramente che solo quando la vittima si sente protetta è effettivamente in grado di cooperare con l’autorità inquirente e di fornire informazioni utili. Principio generale che proprio nel lavoro con le tante donne nigeriane incontrate dalle équipes territoriali della rete regionale del progetto Oltre la Strada trova la sua più difficile applicazione, considerato il modo massiccio e pervasivo con il quale i vincoli e le condizioni dell’assoggettamento continuano a farsi sentire in loro anche una volta sopravvenuta l’emersione dalla condizione di sfruttamento.

Maurizio Braglia