Il 14 novembre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso un’altra sentenza (causa Puid, C-4/11) in cui fornisce l’interpretazione di una norma del Sistema europeo comune di asilo.
In particolare, si trattava dell’art. 3 par. 2 del Regolamento Dublino II (art. 17 par. 1 del Regolamento Dublino III), cosiddetta “clausola di sovranità”.
Cos’è la clausola di sovranità?
Ogni Stato membro può decidere di assumersi la responsabilità di esaminare una domanda di protezione internazionale anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti dal Regolamento Dublino. Come spieghiamo nella nostra Guida al Regolamento Dublino articolo per articolo, si tratta di una decisione completamente lasciata alla discrezione degli Stati, che non è soggetta ad alcuna condizione, né dipende dall’atteggiamento dello Stato che sarebbe competente in base ai criteri, come recentemente confermato dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza Zuheyr Frayeh Halaf del 30 maggio 2013 (C-528/11, V. nostro commento qui).
I fatti all’origine della causa
La causa di cui ci occupiamo oggi trae origine da una controversia avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale presentata in Germania da un cittadino iraniano, precedentemente transitato per la Grecia.
In Germania il sig. Puid veniva detenuto in vista del suo trasferimento in Grecia, disposto dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati. Tale trasferimento tuttavia veniva dichiarato illegittimo dal tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno. Quest’ultimo riteneva infatti che, viste le condizioni dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Grecia, la Germania fosse tenuta ad esaminare la domanda di asilo del ricorrente, esercitando la c.d. “clausola di sovranità”.
Tale decisione veniva impugnata dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati davanti alla Corte amministrativa di appello dell’Assia che decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia UE una serie di questioni pregiudiziali volte a determinare la portata dell’art. 3 par. 2 del Regolamento Dublino nel caso in cui la situazione nel Paese di trasferimento rischi di portare ad una violazione dei diritti umani del richiedente asilo.
Il trasferimento del ricorrente comunque non aveva luogo e alla fine le autorità tedesche decidevano di esaminare la domanda del sig. Puid e di riconoscergli lo status di rifugiato.
Quindi sopraggiungeva la decisione della Corte di Giustizia nella causa N.S. e altri (C-411/10 e C-493/10) che forniva l’interpretazione della clausola di sovranità e chiariva cosa uno Stato dovesse fare nel caso in cui il trasferimento del richiedente asilo verso un altro Stato membro (quello individuato come competente dall’applicazione dei criteri del Regolamento Dublino) fosse vietato a causa delle condizioni nel Paese di destinazione.
Ciò nonostante, il giudice tedesco di questa causa decideva di non ritirare tutte le domande pregiudiziali sottoposte alla Corte, ma di mantenerne una:
“Se dall’obbligo per lo Stato membro di esercitare il diritto di cui all’art. 3 par. 2, prima frase del regolamento La risposta della Corte è negativa, fin dalla premessa: non si può parlare, almeno in prima battuta, di obbligo di uno Stato di esercitare il diritto di cui all’art. 3 par. 2 del Regolamento Dublino II. L’utilizzo della clausola di sovranità (prevista anche nel Regolamento Dublino III all’art. 17 par. 1) è una facoltà. Salvo il caso che si dirà meglio sotto. Ripercorrendo largamente la sentenza nella causa NS e altri, i giudici ricordano come gli Stati sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato competente all’esame della domanda quando “non possono ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.” (par. 30 della sentenza). Tale valutazione sulla sussistenza delle carenze sistemiche spetta ovviamente ai giudici nazionali, non alla Corte di Giustizia. Cosa succede dunque in caso di effettiva impossibilità a trasferire il richiedente nello Stato competente? Tuttavia, al fine di non aggravare la situazione di violazione di diritti fondamentali del richiedente con una procedura di individuazione dello Stato membro competente che abbia durata irragionevole, lo Stato in cui il richiedente si trova deve, all’occorrenza, esaminare esso stesso la domanda. (par. 35) Questa pertanto la risposta della Corte alla domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del giudice tedesco:
La Corte (rimandando sempre alla sentenza NS e altri) ribadisce che lo Stato che doveva effettuare il
trasferimento è tenuto – fatta salva la possibilità prevista dalla “clausola di sovranità” di esaminare esso stesso la domanda – a continuare nell’esame dei criteri previsti dal Regolamento Dublino per verificare se è possibile individuare un altro Stato competente. (par. 33)
Qualora ciò non sia possibile, allora lo Stato competente (in base all’art. 13 del Regolamento Dublino II, art. 3 par. 1 del Regolamento Dublino III) è il primo Stato nel quale è stata presentata la domanda. (par. 34).
In tal caso si configura pertanto un obbligo di ricorso alla clausola di sovranità.