Ci occupiamo oggi del rapporto pubblicato il 19 novembre dall’EASO (l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), relativo ai flussi di richiedenti asilo provenienti dalla zona dei Balcani occidentali (Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo, Macedonia) verso i Paesi UE (più Svizzera e Norvegia).
Il rapporto è basato su statistiche Eurostat e su contributi di esperti del settore operanti nei principali Paesi membri coinvolti, nonché su una serie di interviste e visite sul campo.
L’obiettivo è quello di fornire agli operatori del settore gli strumenti per comprendere e gestire meglio l’alto tasso di domande di protezione internazionale presentate da cittadini dei Paesi dei Balcani occidentali, cercando, al contempo, di identificare le misure più efficaci per ridurne l’impatto.
I dati
Le domande di protezione internazionale provenienti da Paesi dell’area balcanica occidentale, considerata complessivamente, sono costantemente aumentate negli ultimi 5 anni, fino ad arrivare a 53.000, vale a dire il 16% del numero complessivo di domande presentate negli Stati membri.
Il 96% di esse, tuttavia, è stato rifiutato in prima istanza, dimostrando la forte tendenza a considerare tali domande come infondate.
Vediamo adesso in maggior dettaglio quali sono i dati registrati, in relazione a:
- Numero delle domande provenienti dall’area occidentale dei Balcani e i Paesi che ne sono maggiormente destinatari
- Trend stagionale del flusso di migranti alla ricerca di forme di protezione internazionale
- Elementi caratteristici, origini geografiche e destinazioni principali prescelte
- Trend delle decisioni positive e negative
Numero di domande di protezione internazionale
Tra il 2008 e il primo semestre 2013 la percentuale di domande di richiedenti originari da questa regione sul totale delle domande, ha oscillato tra il 7% e il 16%, con una media costantemente crescente (ad eccezione del 2011 che ha visto un calo delle domande presentate).
Il picco si è registrato nell’anno 2012 con circa 60.000 domande di richiedenti dei Balcani occidentali, su un totale di quasi 350.000 negli Stati membri.
Le statistiche relative al 2013 parlano per il momento di oltre 30.000 richiedenti provenienti da questa regione, sempre con un tasso del 16% sul totale delle domande ricevute.
Trend stagionale.
Secondo il rapporto EASO il flusso di richiedenti ha avuto sino ad oggi un carattere tendenzialmente stagionale, in particolare a partire dalla fine del 2009.
Con un’alta percentuale nella stagione estiva, il picco maggiore si registra prima della stagione invernale, nell’ottobre di ogni anno, e quello inferiore a marzo.
Questa “stagionalità”, sottolinea l’EASO, va considerata caratteristica peculiare dei cittadini provenienti da Serbia e Macedonia, con un’incidenza nettamente inferiore per i richiedenti provenienti da Albania e Kosovo. La rilevanza stagionale diviene pressoché nulla in relazione ai richiedenti originari di Bosnia Erzegovina e Montenegro.
Profilo, origini geografiche e destinazioni prescelte
Dal rapporto in esame emerge, pur a fronte di una tendenza generale che accomuna tutti i paesi dell’area balcanica occidentale, la necessità di valutare anche distintamente la situazione in relazione ai singoli Stati.
La percentuale più alta di domande è quella dei richiedenti di etnia Rom provenienti dalla Serbia e dalla Macedonia e di cittadini albanesi provenienti da Kosovo e Albania. Al contempo, tuttavia, il tasso di riconoscimento per i richiedenti provenienti da questi ultimi Stati, risulta dal rapporto il più basso tra tutti i Paesi dall’area.
Il flusso si dirige prevalentemente verso taluni Paesi. L’Italia risulta solo la nona destinazione scelta per le domande di asilo, mentre le prime cinque destinazioni sono Germania, Francia, Svezia, Belgio e Svizzera.
Decisioni
Nel periodo 2008-prima metà 2013, il livello di decisioni positive per le persone provenienti dai Paesi dei Balcani occidentali si è attestato ad appena il 5,9% (9.560 su un totale di 162.00).
A fronte di un aumento costante delle domande, il tasso di riconoscimento si è, inoltre, rivelato a mano a mano più basso. Con un tasso positivo di riconoscimento della protezione internazionale superiore al 14% per il 2008, l’anno 2009 ha visto un calo drastico (tasso appena superiore all’8%) e un calo costante si è registrato per tutti gli anni successivi sino al 2013.
L’EASO sottolinea che, in merito al rapporto decisioni positive/negative, restano comunque considerevoli differenze in relazione ai singoli Paesi di provenienza, con forti cambiamenti anche in base al Paese di destinazione. L’Italia, ad esempio, presenta un trend positivo nel riconoscimento della protezione ai richiedenti provenienti da questa regione.
Perché questo rapporto?
Il rapporto risponde, anzitutto, alla richiesta presentata da diversi Stati Membri di analizzare più approfonditamente il flusso migratorio proveniente da questa regione.
Il punto essenziale è rappresentato dal rapporto peculiare tra un numero alto ed in continua crescita delle domande di asilo provenienti da tale “regione” ed un livello scarsissimo di riconoscimento della protezione internazionale.
Push factors
Il rapporto analizza con una certa attenzione la realtà dei Paesi dell’area nel suo complesso, mettendo in luce taluni punti essenziali che ne accomunano il contesto storico, geografico e sociale, arrivando così a rimarcare i fattori alla base di questo significativo fenomeno migratorio (push factors) che, secondo l’EASO, sono: problemi sociali legati a disoccupazione e povertà; insufficienza delle infrastrutture e dei servizi; scarsa qualità ed accessibilità al sistema sanitario.
Pull factors
Tra i fattori che attraggono i richiedenti asilo provenienti da quest’area verso i Paesi dell’Unione Europea (pull factors), l’EASO identifica: una diaspora già esistente, l’opportunità di ottenere i benefici derivanti dalle spesso prolungate procedure d’asilo e aprirsi la possibilità di trovare lavoro legalmente o illegalmente.
L’EASO conclude proponendo un catalogo di possibili misure da adottare per limitare i push e pull factors, individuati sulla base delle principali soluzioni applicate nei Paesi coinvolti.
Il rapporto sottolinea che il metodo più efficace per ottenere una diminuzione delle domande di asilo sembra quello di agire sui pull factors attraverso: una drastica diminuzione dei tempi di esame per le domande manifestamente infondate; una riduzione dell’assistenza finanziaria di cui i richiedenti asilo beneficiano nel corso della procedura; campagne di informazione; programmi di ritorno volontario o forzato.
Al contempo, per ciò che concerne i push factors, alcune misure sono già state prese nei Paesi di origine interessati al fine di: migliorare le generali condizioni individuate all’origine del fenomeno migratorio; intensificare i controlli di frontiera per assicurare la legalità dell’attraversamento e scoraggiare la migrazione di cittadini le cui domande d’asilo appaiano come infondate (l’EASO rimarca tuttavia la minore efficacia e la controversa legalità di queste ultime misure).
Noi ricordiamo che, come peraltro più volte sottolineato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, il diritto di ogni individuo di lasciare ogni Paese, incluso il proprio, è sancito nei principali strumenti internazionali in materia di diritti umani, a partire dalla stessa Convenzione europea sui diritti dell’uomo (all’art. 2.2 del Protocollo n. 4) e che tale diritto può essere oggetto solo di quelle restrizioni che siano “necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui.” (art. 2.3 del Protocollo n. 4)
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di esprimersi nettamente su questo punto, affermando (nella sentenza Stamose c. Bulgaria, 27 novembre 2012, 29713/05) che non può essere considerato proporzionato il divieto automatico di uscire dal proprio Paese per avere infranto le leggi sull’immigrazione di un altro Stato (par. 33 della sentenza), la cui conseguenza dovrebbe essere, casomai, il divieto di reingresso in quel determinato Paese (par. 34)
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