Il 10 dicembre la Corte di Giustizia dell’UE ha emesso una nuova sentenza rilevante ai nostri fini. Ce ne occupiamo solo oggi perché non avevamo ancora avuto modo di approfondirla.
Si tratta del caso Abdullahi (C-394/12), in cui alla Corte era stato chiesto di fornire l’interpretazione degli articoli 10, 16, 18 e 19 del Regolamento Dublino II.
La sentenza è molto interessante anche se il suo impatto pratico sarà – o almeno così auspichiamo – piuttosto limitato, se si considera che dal 1° gennaio 2014 si applica il nuovo Regolamento Dublino (c.d. Regolamento Dublino III) e che quest’ultimo prevede, proprio in questa materia, alcune rilevanti – e migliorative – differenze rispetto a Dublino II, come vedremo meglio nelle prossime righe.
Questi i fatti alla base della controversia: la signora Abdullahi, di nazionalità somala, era entrata in Grecia irregolarmente, prima di proseguire il suo viaggio attraverso la Macedonia, la Serbia e l’Ungheria, entrando infine in Austria, dove depositava domanda di protezione internazionale nell’agosto 2011.
Le autorità austriache chiedevano all’Ungheria di prendere in carico la richiedente e l’Ungheria accettava, ritenendo sufficientemente dimostrato che la signora Abdullahi fosse entrata irregolarmente in Ungheria dalla Serbia.
Abdullahi ricorreva contro la decisione, affermando che lo Stato responsabile avrebbe dovuto casomai essere la Grecia, ma che, a causa della situazione nel Paese ellenico, un suo trasferimento in quello Stato sarebbe stato impossibile.
Al termine di un percorso complicato, il caso veniva infine sospeso dalla Corte austriaca competente in materia di asilo (Asylgerichtshof) che sottoponeva alla Corte di Giustizia UE tre domande pregiudiziali.
Qui sotto riportiamo solo la prima perché è l’unica a cui la Corte ha fornito una risposta, rimandando al testo integrale della sentenza per la lettura degli altri due quesiti (che peraltro erano molto interessanti).
“1) Se l’articolo 19 del Regolamento 343/2003, letto in combinato disposto con l’articolo 18 di quest’ultimo, debba essere interpretato nel senso che, per effetto dell’accettazione formulata da uno Stato membro a norma delle disposizioni suddette, tale Stato membro è quello cui spetta, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, frase introduttiva, del citato regolamento, la competenza ad esaminare la domanda d’asilo; oppure se, sotto il profilo del diritto dell’Unione, allorché l’organo nazionale di riesame arriva a concludere – in un procedimento riguardante un ricorso o una revisione ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, del citato regolamento n. 343/2003, e indipendentemente dalla suddetta accettazione – che la competenza spetta ad un altro Stato membro ai sensi del capo III del medesimo regolamento (anche qualora quest’ultimo Stato non sia stato investito di una richiesta di presa in carico oppure non formuli alcuna accettazione), detto organo di riesame sia tenuto a constatare in maniera vincolante la competenza di quest’altro Stato membro ai fini del procedimento dinanzi ad esso pendente finalizzato ad una decisione sul ricorso o sulla revisione in questione. Se, al riguardo, sussistano diritti soggettivi di ciascun richiedente asilo a che la propria domanda d’asilo venga esaminata da un determinato Stato membro competente in forza dei suddetti criteri di competenza.”
Detta in maniera più semplice, il giudice austriaco chiede se un richiedente asilo abbia diritto – ricorrendo contro la decisione dello Stato A di rinviarlo in un altro Stato membro (B) ai sensi del Regolamento Dublino – di contestare l’applicazione dei criteri di competenza e dunque, in sostanza, di indicare che lo Stato responsabile ad esaminare la sua domanda di asilo è un altro (C), indipendentemente dal fatto che lo Stato B abbia già accettato la sua competenza.
Il ragionamento della Corte per rispondere alla domanda è il seguente.
Occorre interpretare il Regolamento Dublino alla luce, in particolare, “dell’evoluzione che ha conosciuto rispetto al sistema in cui s’iscrive” (par. 51 della sentenza).
Tale sistema è caratterizzato dal fatto che “le norme applicabili alle domande di asilo sono state, in larga misura, armonizzate a livello dell’Unione” (par. 54) e, pertanto, la domanda del richiedente asilo verrà esaminata, in ampia misura, in base alle stesse norme, indipendentemente da quale sia lo Stato membro competente (par. 55).
Inoltre, da alcune norme del Regolamento Dublino emerge con chiarezza l’intenzione del legislatore, che è quella di “salvaguardare le prerogative degli Stati membri nell’esercizio del diritto di concedere l’asilo, indipendentemente dallo Stato membro competente per l’esame di una domanda in applicazione dei criteri stabiliti da tale regolamento.” (par. 57)
Ancora, esiste una procedura di conciliazione in caso di disaccordo fra gli Stati sull’applicazione del Regolamento (oggi questa procedura si trova descritta all’art. 37 del Regolamento Dublino III) e, nell’ambito di questa procedura, “non è nemmeno previsto che il richiedente asilo sia sentito.” (par. 58)
Pertanto, in una situazione come quella del caso di specie, in cui uno Stato A decida di trasferire un richiedente asilo verso uno Stato B e questo Stato B accetti la propria competenza in quanto Stato membro del primo ingresso nell’Unione europea (art 10 par. 1 del Regolamento Dublino II, art. 13 par. 1 del Regolamento Dublino III), il richiedente asilo non può contestare l’individuazione dello Stato competente affermando che la responsabilità è in capo a uno Stato C.
Il richiedente asilo potrà contestare solo il proprio trasferimento verso lo Stato B “deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che tale richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta” dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (par. 60)
Su questo, ovvero sul divieto di trasferimento dei richiedenti asilo in caso di rischi di trattamenti inumani o degradanti nello Stato di destinazione, rimandiamo alla sentenza della Corte di Giustizia NS e altri del 21 dicembre 2011 (C-411/10 e C-493/10), da noi esaminata qui.
Con questa sentenza, la Corte:
a) adotta un approccio a dir poco ottimista sull’effettivo grado di armonizzazione delle normative in materia di asilo nei diversi Stati membri, dimenticando (o comunque sottovalutando) che la Direttiva Procedure del 2005 lasciava comunque enormi margini di manovra nel recepimento (e che le regole della nuova Direttiva Procedure approvata nel 2013 non sono ancora state recepite e non saranno recepite dalla maggioranza degli Stati prima del 2015). Peraltro, tale approccio non considera che, nella prassi, ancor più che nella norma, permangono enormi differenze tra i sistemi di asilo, come riconosciuto in più occasioni dalla stessa Commissione europea.
b) conferma che il Regolamento Dublino è un meccanismo per l’individuazione rapida dello Stato competente e che, in sostanza, gli unici attori in gioco in questa fase sono gli Stati, mentre i richiedenti asilo non hanno “voce in capitolo” nella scelta dello Stato competente ad esaminare la loro domanda. Anzi, uno degli obiettivi del “sistema di Dublino” è proprio quello di sottrarre al richiedente asilo la scelta del Paese che esaminerà la sua domanda (si veda a tal proposito la nostra intervista a Francesco Maiani)
Tuttavia, come si può trovare anche nella nostra Guida al Regolamento Dublino articolo per articolo, il nuovo Regolamento Dublino III innova positivamente in materia.
Infatti, il nuovo art. 27 prevede il “diritto a un ricorso effettivo” e, come precisato nel Considerando n° 19, tale ricorso dovrà riguardare non soltanto la situazione di fatto e di diritto nel Paese di destinazione, ma anche l’esame dell’applicazione del Regolamento Dublino. Dunque, ci pare di poter dire, anche la correttezza dell’applicazione dei criteri che permettono di individuare lo Stato competente.
Detta altrimenti, riteniamo che se da un lato il nuovo Regolamento Dublino III non consente certamente al richiedente asilo di scegliersi il suo “Stato responsabile”, né di avere “voce in capitolo” in merito a tale decisione, essendo questa una prerogativa degli Stati, dall’altro gli dovrebbe però consentire almeno di pretendere che i criteri che permettono di individuare lo Stato competente siano applicati in maniera corretta.
Salvo il caso, sempre possibile, in cui uno Stato decida – in deroga all’individuazione dello Stato competente attraverso i criteri e seguendo la procedura prevista dall’art. 17 del Regolamento Dublino III – di esaminare una domanda di protezione anche se questa non gli compete (c.d. “clausola di sovranità”).
Questa comunque la risposta fornita dalla Corte di Giustizia UE alla domanda pregiudiziale del giudice austriaco nel caso Abdullahi:
“L’articolo 19, paragrafo 2, del
[Regolamento 343/2003], dev’essere interpretato nel senso che, nelle circostanze in cui uno Stato membro abbia accettato la presa in carico di un richiedente asilo in applicazione del criterio di cui all’articolo 10, paragrafo 1, di detto regolamento, vale a dire, quale Stato membro del primo ingresso del richiedente asilo nel territorio dell’Unione europea, tale richiedente può contestare la scelta di tale criterio soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che detto richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.“
Alla luce di questa risposta, la Corte non ha ritenuto necessario rispondere anche alle altre due domande rivoltele.
Come facciamo ogni volta, ricordiamo sempre che le domande pregiudiziali sono un meccanismo di “cooperazione” tra giudici, attraverso il quale ogni giudice di ogni Stato membro può sottoporre alla Corte di Lussemburgo una o più questioni riguardanti l’interpretazione del diritto dell’Unione. La risposta della Corte non definisce la controversia ma fornisce l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione; tale interpretazione dovrà essere poi usata dal giudice nazionale per decidere sul caso.
L’aspetto più importante sta nel fatto che l’interpretazione della Corte di Giustizia è ovviamente vincolante per chiunque sia chiamato ad applicare quella norma in qualunque Stato membro.
Vai alla sentenza della Corte di Giustizia nel caso Abdullahi (C-394/12)
Per approfondire:
– Vai alla nostra scheda sul Regolamento Dublino: “Dublin Guide”
– EDAL, The Dublin system and the right to an effective remedy – The case of C-394/12 Abdullahi, M. Hennessy