Il 29 gennaio 2014 è stata approvata la graduatoria per il bando SPRAR, relativa alle domande di contributo da parte degli Enti Locali che prestano servizi per l’accoglienza di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e umanitaria. La graduatoria, valida per il triennio 2014-2016, ha approvato un numero elevato di progetti SPRAR (456) per un totale di 13.020 posti. Altri 6.500 posti circa sono invece attivabili, su richiesta del Ministero dell’interno, in caso di necessità.
Per la prima volta dunque, dopo anni di palese sottodimensionamento e occasionali “ampliamenti”, la rete dei progetti SPRAR raggiunge strutturalmente un’ampiezza più adeguata (per quanto non ancora sufficiente) alla realtà delle presenze e degli arrivi di richiedenti asilo in Italia.
Come si è arrivati a questo risultato?
Quali sono i rischi collegati a questo ampliamento?
Verso quale direzione sta andando il sistema di accoglienza italiano?
A queste domande abbiamo cercato di dare una risposta intervistando Daniela Di Capua, direttrice del Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR). Troverete le sue risposte, su questo e altro, nelle prossime righe.
Buona lettura!
D – Il numero delle richieste di asilo in Italia negli ultimi anni, pur altalenante, è stato certamente significativo. Le risposte delle istituzioni sono però state spesso contraddittorie ed è sembrato mancare, come evidenziato anche dall’UNHCR (Raccomandazioni dell’UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, p. 10 ), una pianificazione strategica e strutturale. Da un lato lo SPRAR, considerato una buona prassi anche a livello europeo ma numericamente limitato; dall’altro i CARA e un ampio ricorso a soluzioni improvvisate, emergenziali. Negli ultimi tempi, con vari “allargamenti” del sistema di protezione, e ora con l’approvazione dell’ultima graduatoria (456 progetti e 13.000 posti più 6.500 aggiuntivi), lo SPRAR raggiunge una dimensione più in linea con la realtà dei numeri. Qual è stato il percorso che ha portato a questo risultato?
R – Si tratta del frutto di un percorso condiviso e avviato almeno 15 anni fa, quando l’Italia ha cominciato a tentare un approccio più strutturale all’accoglienza dei richiedenti asilo. Il vero salto, paradossalmente, si è però avuto in questi ultimi anni grazie in qualche modo all’Emergenza Nord Africa (ENA). La modalità in cui è stata gestita l’ENA ha evidenziato delle criticità così forti che lo SPRAR è diventato un punto di riferimento in positivo rispetto all’ENA. A metà 2012 il Ministero dell’Interno ha istituito un tavolo di coordinamento nazionale per le politiche di accoglienza con la partecipazione dello stesso Ministero dell’interno, del Ministero per l’integrazione, del Ministero del Lavoro, di rappresentanti di Regioni, Province e Comuni e, come partecipante esterno, dell’UNHCR. Questo tavolo ha poi assunto funzioni permanenti.
Indipendentemente dai risultati, va innanzitutto sottolineato che, prima dell’istituzione di questo tavolo, non esisteva una sede di condivisione delle responsabilità tra i vari livelli di governo e di condivisione delle decisioni a livello operativo.
Questo tavolo ha fatto due proposte che sono poi state ratificate in conferenza unificata alla fine del 2012 e a settembre 2013. La prima proposta è quella di mantenere la direzione avviata, costruendo un sistema unico di accoglienza, non basato solo sullo SPRAR ma che abbia “lo SPRAR al centro” come sistema di accoglienza diffusa e che soprattutto sia un sistema unico, dove la prima accoglienza, la seconda accoglienza, l’integrazione siano tutte tappe dello stesso processo, a cui possono accedere tutti i richiedenti asilo/titolari di protezione internazionale o umanitaria. La seconda proposta, consequenziale a questa, era quella di rafforzare molto i numeri dello SPRAR, di cominciare a lavorare a un superamento dei CARA, avviando come alternativa possibile l’istituzione di centri di prima accoglienza diffusi sul territorio nazionale, preferibilmente regionali, di piccole dimensioni e per brevi periodi di permanenza (c.d. “HUB”); in quella proposta si parlava anche di una riorganizzazione più strutturale e coerente dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo e dell’attivazione di tavoli regionali che potessero essere gli omologhi del tavolo di coordinamento nazionale. Alcuni obiettivi sono stati raggiunti, ad esempio con l’aumento dello SPRAR che prima doveva passare da 3.000 a 5.000 posti, poi si era detto fino a 8.000, infine il decreto del capo dipartimento dello scorso anno ha istituito la ricettività del sistema a 16.000 posti.
D – Ci pare dunque di capire che l’idea è quella di superare le permanenze nei grandi centri collettivi del sud per andare verso un trasferimento molto veloce dei richiedenti asilo, subito dopo il primo arrivo, all’interno di centri dislocati a livello regionale (HUB) da cui si cercherà di arrivare poi a un rapido inserimento nello SPRAR. Quali sono le principali difficoltà che questa modifica del sistema di accoglienza italiano rischia di incontrare?
R – A parte l’ostacolo delle risorse, che è trasversale e costante, una prima difficoltà è costituita dal fatto che le regioni non sono tutte immediatamente disponibili a farsi parte attiva rispetto a questi tavoli di coordinamento regionale né, ancor meno, a vedersi attivare in maniera permanente un centro collettivo sul proprio territorio.
L’anno scorso abbiamo avuto tantissimi arrivi: circa 43.000, di cui la maggior parte richiedenti asilo, e il Ministero dell’interno ha dovuto utilizzare strutture di permanenza temporanea, improvvisate, con caratteristiche di straordinarietà, servizi-base, aperte un po’ “dove capita”, dove si trova la disponibilità. Nel frattempo, ha individuato strutture collettive che dovrebbero avere invece caratteristiche un po’ più strutturali a Siracusa, a Ragusa, a San Giuliano di Puglia e a Trapani. Siamo però ancora lontani dal poter parlare di “centri regionali”. Il secondo grande ostacolo è quello dei tempi dell’esame delle domande di protezione internazionale da parte delle Commissioni Territoriali: è un problema enorme perché i meccanismi sono tali che trasferire nel giro di uno-due mesi un richiedente asilo nello SPRAR andrebbe a comportare un notevole allungamento dei tempi per l’esame della domanda e quindi anche del tempo di permanenza in accoglienza (fino a più di un anno). Anche una rete di 20.000 posti in breve tempo si bloccherebbe perché ci sarebbe un problema di turnover. È un tema affrontato più volte dal tavolo nazionale: la grossa difficoltà sta nel fatto che la normativa prevede che in Italia non possano essere create più di 20 Commissioni, o meglio 10 Commissioni più la possibilità di creare 10 sezioni di Commissione.
Oggi tutte le sezioni sono già state create: tre sono dedicate solo al CARA di Mineo dove siamo arrivati a 4.000 presenze (che è una cosa impensabile, inimmaginabile).
I tempi delle procedure di asilo sono dovuti anche alle modalità di intervista (e al requisito della collegialità) o al fatto di non poter decidere in anticipo che le persone che arrivano da alcuni Paesi, dove si riconosce una generalizzata situazione di conflitto, possano essere – data l’impossibilità di rimpatriarli – considerati di default come protetti sussidiari o umanitari senza dover andare in Commissione. Non è stato possibile attuare queste misure e questo crea dei grandi problemi anche sull’accoglienza.
D – Ci può dare un quadro aggiornato della situazione? Quante persone sono in lista di attesa per entrare nello SPRAR? E’ verosimile affermare che i posti aggiuntivi previsti dal nuovo bando SPRAR verranno utilizzati immediatamente?
R – La situazione è questa: i posti della nuova graduatoria, immediatamente finanziati e attivati, sono 13.020. Di questi posti, quasi 10.000 sono già occupati perché l’anno scorso ci sono stati ampliamenti straordinari dello SPRAR che hanno portato la rete da 3.000 a 9.500 posti. In lista di attesa ci sono altre 1.000 persone circa che fanno sempre parte di questo ampliamento dello scorso anno ma che non sono rientrate automaticamente nella graduatoria e quindi devono essere trasferiti nello SPRAR.
Ci sono poi circa 700 persone appartenenti a categorie vulnerabili ancora risalenti all’accoglienza ENA e che continuano ad essere accolte a carico delle prefetture. Occorrerà verificare caso per caso quali siano effettivamente persone vulnerabili e quali siano semplicemente in accoglienza da tre anni: queste ultime dovranno lasciare i centri ma vi possono essere alcune persone di queste 700 che dovranno essere inserite nello SPRAR.
Inoltre abbiamo molte richieste di accoglienza che ci arrivano dai valichi di frontiera, in particolare da Fiumicino e Trieste.
In più, bisogna considerare le persone inserite tra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo in “strutture temporanee” attivate dal ministero (sono circa 5.000 persone); proprio perché accolte in “strutture temporanee”, queste persone dovrebbero transitare anch’esse nello SPRAR.
Dunque, se la matematica non è un’opinione, siamo abbondantemente oltre i 13.000 posti attualmente finanziati. Abbiamo fatto presente questa situazione al tavolo di coordinamento nazionale e si è convenuto sul fatto che non ha senso continuare a chiedere alle prefetture di individuare “strutture temporanee” quando c’è la possibilità di attivare i 6.500 posti aggiuntivi che la rete SPRAR potrebbe garantire. La difficoltà è che le risorse che utilizzano le prefetture per le “strutture temporanee” non sono le stesse che dovrebbero essere usate per lo SPRAR. Anche il Ministero ha comunque convenuto sul fatto che va data priorità all’attivazione dei posti aggiuntivi SPRAR rispetto ad altre “strutture temporanee”. Ma si tratta di una scelta che richiede una decisione di carattere politico. La problematica è comunque recentissima perché la graduatoria SPRAR è stata approvata il 29 gennaio ed è di pochi giorni fa la presa di coscienza che i posti sono sulla carta già tutti occupati.
D – Un ampliamento così importante della rete, è inutile negarlo, porta con sé dei rischi di abbassamento degli standard medi di qualità del sistema. Che contromisure preventive sono state adottate per limitare questo rischio e soprattutto si è prevista l’istituzione di nuovi strumenti di valutazione dell’efficacia e dei risultati degli interventi, similmente a quanto già accade in altri Paesi europei?
R – La valutazione delle domande di finanziamento era a carico di una commissione di valutazione e il Servizio Centrale ha dato un’assistenza tecnica volta ad esaminare i documenti e ad applicare quanto previsto dal bando alle domande progettuali (ad es. in termini di punteggi). La commissione sicuramente ha espresso la volontà di far rientrare il maggior numero possibile di progetti, ovviamente nella correttezza delle procedure, su questo non c’è dubbio. Sono state richieste molte integrazioni ai progetti, soprattutto ai nuovi progetti che non avevano compreso alcuni passaggi. Ripeto: sempre senza andare in deroga alle regole, ma rimanendo aperti alla possibilità di integrazioni laddove ci fosse bisogno di chiarimenti.
Per la prima volta oggi si inverte il rapporto tra progetti storici e progetti nuovi. Prima, essendo sempre stato molto contenuto l’aumento dei posti, la percentuale di progetti nuovi era molto piccola, facilmente riassorbibile dalla rete dei progetti storici: oggi invece, rispetto ai 156 progetti di più lungo corso abbiamo una rete di 456 progetti complessivi, dunque la maggior parte dei progetti sono nuovi e molti enti gestori sono nuovi. Non tutti, ovviamente, perché alcuni hanno già esperienza in questo settore ma ci sono anche molti enti gestori nuovi. Questa è una cosa molto positiva anche perché su 456 progetti, la maggior parte ha un ente titolare (Comune o Provincia) che in realtà “appoggia” alcune strutture di accoglienza su altri Enti locali che hanno aderito come partner. Ciò significa che il numero di Enti Locali coinvolti nello SPRAR è almeno triplo rispetto al numero dei progetti: credo infatti che gli enti locali coinvolti siano almeno 1.500. Questo, dal punto di vista dell’accoglienza diffusa, delle possibilità di integrazione, di inclusione sociale, del contrasto alla discriminazione e al razzismo, è un passo in avanti grandissimo che darà grandi risultati nel tempo. Lo SPRAR, che partì con 50 progetti, ha contribuito a dare anche un’informazione più corretta, più trasparente, più equa, sugli stranieri, l’accoglienza, l’utilizzo dei fondi,…..
Ovviamente la difficoltà, come giustamente osservate voi, sta nel garantire che questa maggioranza di progetti nuovi rispetto ai progetti storici non faccia abbassare la qualità complessiva della rete: dobbiamo riuscire a mantenerla medio-alta, lavorando sui progetti nuovi in tal senso. Come Servizio Centrale abbiamo tre strumenti: 1) prendere nuovi operatori non in sede centrale, ma sui territori, per garantire una maggiore presenza sia in fase di monitoraggio sia per fornire assistenza ai progetti in maniera più continua, più fluida; 2) la formazione: abbiamo già pianificato la formazione di base per tutti i nuovi progetti, dove si affrontano tutti gli argomenti delle linee guida-SPRAR; poi dovremo approfondire altri argomenti (giuridico, integrazione,…), possibilmente con lo strumento del workshop interattivo; 3) migliorare la qualità della banca dati dello SPRAR che deve essere raffinata dal punto di vista tecnologico affinché sia più snella e più facilmente utilizzabile ai fini della reportistica.