Il 27 febbraio la quinta sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata su un interessante caso riguardante l’espulsione di una cittadina nigeriana affetta da AIDS
La sentenza si aggiunge a quei pochi precedenti giurisprudenziali della Corte relativi all’espulsione di persone bisognose di cure mediche e dimostra la difficoltà di definire dei principi giuridici chiari sul tema. 

Ricordiamo che la sentenza che ci apprestiamo ad analizzare non è definitiva, dato che le parti, dal momento della sua pubblicazione, hanno tre mesi di tempo per presentare ricorso dinanzi alla Grande Camera.




I fatti alla base della controversia

La richiedente, Stella Josef, è una cittadina nigeriana che nel 2007, all’età di 17 anni, giungeva in Belgio dove presentava domanda di asilo. All’epoca la donna era in stato di gravidanza e sosteneva di essere fuggita dalla Nigeria in seguito alle pressioni subite dalla famiglia del padre del bambino affinché abortisse. La richiesta di asilo era rigettata sia in prima che in seconda istanza perché le dichiarazioni rese da Josef erano ritenute incoerenti e quindi era considerato non credibile il rischio, da lei sostenuto, di subire gravi danni in caso di ritorno in Nigeria.
Josef presentava inoltre una richiesta di autorizzazione a soggiornare in Belgio per ragioni di salute essendo affetta da AIDS. Nell’ottobre del 2010 l’ufficio degli stranieri belga rigettava anche questa domanda, affermando che il trattamento sanitario cui la richiedente era sottoposta in Belgio sarebbe stato disponibile anche in Nigeria. Pertanto, il mese successivo notificava a Josef un ordine a lasciare il territorio del Paese insieme ai suoi tre figli nel frattempo nati in Belgio.
La richiesta avanzata da Josef di annullare e sospendere “in estrema urgenza” l’ordine di allontanamento era rigettata in secondo grado e considerata irricevibile dal Consiglio di Stato belga, che riteneva non sussistente il requisito dell’urgenza, necessario per ottenere la sospensione dell’ordine di allontanamento.
Josef quindi si rivolgeva alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando la violazione del diritto a un ricorso effettivo, garantito dall’ art.13 della Convenzione, e affermando che la sua espulsione verso la Nigeria avrebbe violato gli articoli 3 e 8 della Convenzione (che garantiscono, rispettivamente, il divieto di essere sottoposto a tortura o trattamenti disumani o degradanti e il diritto al rispetto della vita privata e familiare).


La risposta della Corte

La Corte afferma che il Belgio non ha garantito a Josef un effettivo ricorso contro l’ordine di lasciare il territorio belga ma ha ritenuto comunque non sussistente un rischio di violazione dell’art. 3 o dell’art. 8 in caso di espulsione verso la Nigeria. 


Violazione dell’art. 13 in combinato disposto con l’art 3

La Corte riprende il principio generale secondo cui la persona destinataria dell’ordine di espulsione deve avere la possibilità non meramente formale ma concreta  di impugnare tale decisione
Ciò implica che la presentazione del ricorso deve avere l’effetto di sospendere automaticamente l’ordine di allontanamento e che la valutazione dei rischi a cui potrebbe andare incontro lo straniero in caso di espulsione deve essere sostanziale

Nel sistema belga i ricorsi contro le decisioni in materia di soggiorno degli stranieri sono presentati dinanzi al tribunale amministrativo (il Conseil du Contentieux des ètrangers) e non sospendono automaticamente l’esecutività della decisione impugnata. Sono infatti previste due procedure specifiche per richiedere tale sospensione: 

  1. la domanda di sospensione in “estrema urgenza”sussiste una situazione di “estrema urgenza” solo quando il ricorrente è sottoposto a una misura coercitiva; pertanto, l’ordine di abbandonare il Paese non è sufficiente a far ritenere fondata e ammissibile la domanda di sospensione in “estrema urgenza”;
  2. la domanda “ordinaria” di sospensione: deve essere presentata, insieme al ricorso per annullamento, al solo fine di preservarsi il diritto di richiedere in seguito la sospensione attraverso la domanda di una misura provvisoria “in estrema urgenza”. Anche in questo caso, per ottenere la sospensione dell’ordine di allontanamento è necessario che il ricorrente sia sottoposto a una misura coercitiva. 

La Corte EDU ritiene che questo sistema è nella pratica troppo complesso e difficilmente accessibile dai ricorrenti per soddisfare i requisiti di cui all’art. 13 in combinato disposto con l’art. 3. In particolare la Corte evidenzia che il ricorrente è di fatto privato della possibilità di ottenere la sospensione dell’ordine di allontanamento qualora non abbia presentato in principio la domanda di sospensione ordinaria o non sia destinatario di un provvedimento coercitivo, così come verificatosi nel caso di Josef.
Pertanto, la Corte condanna il Belgio per violazione dell’art. 13 in combinato disposto con l’art. 3 CEDU.


Mancata violazione dell’art 3

La Corte conferma quanto già espresso nei precedenti giurisprudenziali: l’espulsione di una persona gravemente malata verso un Paese dove non potrà godere di cure mediche equivalenti a quelle del Paese da cui è stata allontanata non comporta di per sé una violazione dell’art 3
Anche un peggioramento significativo del suo stato di salute e della sua aspettativa di vita in caso di espulsione non è ritenuto dalla Corte una violazione dell’art.3, essendo necessario che le ragioni umanitarie che depongono a sfavore dell’espulsione siano ancor più imperative.

Le fait qu’en cas d’expulsion de l’État partie, l’étranger connaîtrait une dégradation importante de sa situation, et notamment une réduction significative de son espérance de vie, ne suffit pas pour emporter violation de l’article 3 (ibidem).  Selon la Cour, il faut que des circonstances humanitaires encore plus impérieuses caractérisent l’affaire.” (par. 120)

E quali possono essere delle ragioni umanitarie di carattere ancor più imperativo di una riduzione significativa della speranza di vita? La Corte rimanda alla sentenza N. c. Regno Unito del 2008 che a sua volta cita la sentenza D. c. Regno Unito del 1997, in cui il rimpatrio a St. Kitts di uno straniero gravemente malato era stato considerato in violazione dell’art. 3 in quanto si trattava di una persona “vicina alla morte” e che, nel suo Paese, sarebbe stata completamente sola, senza familiari in grado di fornirgli il minimo supporto. 
Sulla base di tale impostazione, poiché invece la malattia di Josef è “sotto controllo” e la ricorrente non si trova in uno “stato critico” ma è anzi “in grado di viaggiare”, la Corte ritiene che gli elementi alla base della controversia non permettono di ritenere raggiunto il livello di gravità richiesto dall’art. 3 CEDU (par. 124). Ciò sebbene i giudici stessi siano ben consapevoli che l’accesso ai farmaci in Nigeria è aleatorio e la maggior parte dei malati di AIDS non beneficiano di cure gratuite. (par. 123)


Mancata violazione dell’art 8

L’ultima questione da risolvere consiste, in sostanza, nel capire se Josef abbia il diritto di soggiornare insieme ai suoi tre figli in Belgio al fine di mantenere e sviluppare una vita familiare sul territorio belga. 
La Corte osserva che Josef, dal momento in cui le è stata rigettata la domanda di asilo, non ha mai soggiornato regolarmente in Belgio. Pertanto la scelta di avere tre figli, nonostante la precarietà della sua situazione, non rappresenta per la Corte un elemento a favore della ricorrente.


“Dans un contexte marqué d’une telle précarité, la Cour estime que le choix fait par la requérante de donner naissance à trois enfants et de demeurer avec eux en Belgique ont mis les autorités nationales devant un fait accompli qui ne saurait, eu égard aux principes rappelés ci-dessus, peser, dans la balance des intérêts en présence, en faveur de la requérante.” (par.141)

Inoltre la Corte ritiene che, sebbene i tre figli siano nati in Belgio e due di questi ivi scolarizzati, la loro giovanissima età (6 anni, 4 anni e un anno e mezzo) consenta loro di adattarsi alla vita in Nigeria.
Infine, secondo la Corte, non può essere fatto ricadere sullo Stato belga il rischio che i bambini in Nigeria siano testimoni dell’aggravamento della malattia della madre e della sua morte, ritrovandosi da soli senza una rete sociale o familiare. (par. 145)
Tali considerazioni portano ad affermare che le autorità belghe, ordinando l’espulsione di Josef, non abbiano violato l’art. 8 CEDU.


Opinione dissenziente del giudice Power-Forde

La posizione in materia di espulsione di persone gravemente malate adottata dalla Corte nel caso N c. Regno Unito, e confermata in questa sentenza, si espone a numerosi rischi, come chiaramente esposto dall’opinione dissenziente del giudice Power-Forde. Questi, infatti, ricorda che nel  caso N. c Regno Unito il ricorrente è morto dopo qualche mese dall’espulsione verso il suo paese di origine, perché privato delle cure di cui aveva bisogno e che, probabilmente, la stessa sorte toccherà a Josef in caso di ritorno in Nigeria. Ciò pone delle perplessità sulla compatibilità dell’espulsione con gli articoli 2 e 3 della CEDU e sull’assenza di responsabilità dello Stato autore dell’ordine di allontanamento.
La soglia di gravità delle conseguenze all’espulsione, necessaria per poter constatare una violazione dell’art. 3, è eccessivamente altaAllo stato attuale, essa è infatti raggiunta solo qualora lo straniero, destinatario dell’ordine di espulsione, si trovi nello stadio terminale della sua malattia.
La speranza del giudice Power-Forde, pertanto, è che la Corte riveda la propria posizione sul punto, ampliando i “casi eccezionali” in cui l’allontanamento di uno straniero affetto da AIDS, o comunque gravemente malato, violi l’art. 3 della CEDU. 

Une application plus humaine du critère des « circonstances exceptionnelles » s’impose d’urgence de manière à sauver la vie de la requérante en l’espèce. Les arrêts de la Cour doivent protéger non seulement les mourants mais aussi les vivants contre les traitements prohibés par l’article 3 de la Convention. 



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