La Direttiva 2008/115/CE, c.d. “Direttiva rimpatri”, ampiamente criticata e nettamente rifiutata da ampi settori della società civile e accademici al tempo della sua adozione, ha da poco compiuto cinque anni.
Ora la Commissione europea ci fornisce la possibilità di analizzare l’impatto che tale direttiva ha avuto all’interno degli Stati membri grazie ad una relazione relativa alla politica dell’Unione europea in materia di rimpatri, di cui la Direttiva del 2008 costituisce il “pezzo” più consistente.
Analizzeremo questa relazione, presentata sotto forma di Comunicazione della Commissione “sulla politica UE in materia di rimpatri”, nelle righe che seguono.
Dopo una breve introduzione (parte I), la Comunicazione della Commissione si divide in 3 capitoli (Parti II, III e IV) più una conclusione (Parte V):
Parte II – La politica di rimpatrio UE
La Comunicazione contiene in apertura un paio di dati molto interessanti:
- il numero di migranti in posizione irregolare fermati nell’Unione europea è andato considerevolmente calando dal 2008 (circa 610.000 persone) al 2012 (circa 440.000). La Commissione spiega questo dato con il miglioramento dei controlli alle frontiere esterne e con la crisi in Europa, accompagnata dalle migliori condizioni economiche in alcuni Stati di origine;
- la percentuale di rimpatri effettivamente realizzati sul totale delle decisioni di rimpatrio adottate dagli Stati UE è molto bassa (circa il 36%). La Commissione riconduce questo dato alla mancanza di cooperazione tanto dei Paesi terzi (in particolare per quanto riguarda il rilascio di documenti dalle ambasciate) quanto dei cittadini stranieri (che cercano di celare la propria identità o di fuggire).
La Comunicazione passa quindi ad analizzare il quadro giuridico in materia di rimpatri: oltre alla Direttiva Rimpatri (su cui torneremo ampiamente sotto), la Commissione cita:
- il VIS (Sistema informativo dei visti), avviato recentemente e su cui i primi dati parlano di un significativo contributo all’identificazione dei migranti in posizione irregolare, anche perché è possibile scambiare i dati raccolti con autorità dei Paesi terzi; inoltre, il VIS, e i dati in esso contenuti, sono elencati nei più recenti accordi di riammissione conclusi dall’UE con Paesi terzi fra i mezzi di prova della nazionalità del migrante irregolare;
- il SIS (Sistema informativo Schengen), definito dalla Commissione come uno strumento efficace per la messa in rete dei divieti di reingresso sul territorio Schengen (circa 700.000 divieti sono stati inseriti nel SIS tra 2008 e 2013) ma non sufficiente per eliminare tutti i rischi di reingresso di persone precedentemente espulse.
I fondi
Nel periodo 2008-2013 sono stati assegnati agli Stati membri 674 milioni di euro all’interno del Fondo rimpatri (che, a partire dal 2014, è confluito nel nuovo Fondo Asilo e Immigrazione). La Commissione, inoltre, all’interno della politica di cooperazione allo sviluppo, ha finanziato, dal 2005, oltre 40 progetti di capacity building in materia di assistenza alla reintegrazione delle persone rimpatriate, sul territorio di Paesi terzi
Altri dati sono poi forniti dalla Commissione relativamente:
- ai rimpatri volontari: negli ultimi anni sono stati assistiti al rimpatrio volontario 148.000 immigrati; i rimpatri volontari costituiscono il 44% dei rimpatri totali;
- al ruolo di Frontex nel coordinamento di Operazioni congiunte di rimpatrio: tra 2006 e 2013 sono state 209 le operazioni di questo tipo coordinate da Frontex e le persone rimpatriate con voli congiunti sono state 10.855. Circa la metà delle operazioni congiunte di rimpatrio sono state monitorate da “osservatori indipendenti” (la Comunicazione li definisce “an independent outside observer who frequently represents an NGO or another independent monitoring body entrusted by a Member State with forced return monitoring tasks under Article 8(6) of the Directive”) e non è stato riportato nemmeno un caso di violazione di diritti fondamentali delle persone rimpatriate. Si segnala anche la nomina, nel 2012, di un funzionario di Frontex per i Diritti Fondamentali, che ha il compito di verificare il rispetto dei diritti umani fondamentali durante la gestione dei rimpatri, ma non vengono forniti dati o analisi rispetto alle modalità con cui tale compito viene condotto nella pratica.
Parte III – Sviluppi futuri
In questa parte, la Commissione si sofferma, senza addentrarsi troppo nei particolari, sulle azioni prioritarie della politica UE in materia di rimpatri. Dopo aver ricordato che la politica di rimpatri da sola non può garantire un’efficace gestione dell’immigrazione irregolare, ma deve essere parte di un approccio più comprensivo e che include il GAMM (l’Approccio Globale in materia di Migrazione e Mobilità), la Comunicazione elenca le priorità dei prossimi anni:
1) un’applicazione efficace e corretta della Direttiva Rimpatri;
2) la promozione di prassi più coerenti e compatibili con i diritti fondamentali. La Commissione pubblicherà nel giro di un anno – dunque a quasi 7 anni di distanza dall’adozione della Direttiva rimpatri – un Manuale in materia di rimpatri e raccoglierà le best practices dirette a superare le situazioni di prolungata irregolarità di persone che gli Stati non riescono ad espellere);
3) migliorare il dialogo e la cooperazione con i Paesi terzi;
4) migliorare la cooperazione operativa tra Stati membri in materia di rimpatri;
5) ampliare il ruolo di Frontex in questo campo.
Parte IV – L’impatto della Direttiva Rimpatri
Ad esclusione del Regno Unito e dell’Irlanda, la direttiva è applicabile in tutta l’Unione Europea, nonché nei Paesi associati Schengen (Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein). Tra tutti i Paesi vincolati dalla direttiva soltanto l’Islanda non ha ancora notificato la trasposizione nella propria normativa interna (il termine ultimo era previsto per il 24 dicembre 2010).
La Commissione entra poi nel dettaglio dell’implementazione della Direttiva esaminando vari punti
- Il trattenimento degli stranieri ai fini della loro espulsione
Preliminarmente la Commissione ricorda che la Direttiva rimpatri prevede che il trattenimento debba essere il più breve possibile e durare solo finché sono in corso le procedure per l’espletamento del rimpatrio. Inoltre, il trattenimento è possibile solo se c’è un rischio di fuga o se l’interessato evita od ostacola la preparazione del rimpatrio. Il trattenimento deve poi essere riesaminato a intervalli regolari, deve cessare quando non esistano più ragionevoli prospettive di rimpatrio (sentenza Kadzoev, C-357/09) e deve durare comunque al massimo 6 mesi, prolungabili a 18 mesi in casi eccezionali.
Il fatto che uno straniero trattenuto in vista di espulsione presenti istanza di protezione internazionale non comporta automaticamente l’obbligo a rilasciarlo, benché la Direttiva rimpatri non si applichi ai richiedenti asilo (sentenza Arslan, C-534/11; si veda nostra analisi qui).
La Direttiva prevede che gli stranieri non possano essere, in via generale, trattenuti nelle prigioni ordinarie e che si possa fare ricorso al trattenimento dei minori e delle famiglie con minori solo in mancanza di altra soluzione.
Quanto alle condizioni del trattenimento, pur non entrando la Direttiva nei particolari, nel preambolo si legge (al Considerando n° 17) che le persone trattenute debbono essere trattate in maniera umana e dignitosa. Le condizioni del trattenimento non possono poi ovviamente essere tali da comportare una violazione dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che vieta i trattamenti disumani e degradanti.
La Direttiva prevede poi una serie di altri diritti e garanzie per le persone trattenute, come il diritto a contattare rappresentanti legali, familiari e autorità consolari, tutela della salute, possibilità per le organizzazioni internazionali e non governative di accedere ai centri previa autorizzazione.
Questi gli spunti più interessanti che emergono dalla valutazione della Commissione:
Durata del trattenimento: 12 Stati membri hanno ridotto il periodo massimo di trattenimento a 18 mesi dopo aver recepito la direttiva (9 di questi non prevedevano alcun termine), mentre altri 8 Stati hanno aumentato tale periodo fino ad un massimo di 18 mesi. 5 Stati hanno lasciato i tempi di detenzione invariati, mentre altri 3 hanno introdotto il trattenimento dove prima non esisteva.
Motivi alla base del trattenimento: la Commissione evidenzia come il “rischio di fuga” sia la ragione maggiormente usata dagli Stati per ricorrere al trattenimento dei migranti irregolari e che la mancanza di documenti o l’uso di false identità siano i principali criteri sulla base dei quali tale rischio viene valutato.
Revisione della decisione di trattenimento: vi sono ampie differenze: se in alcuni Stati vengono effettuati frequenti controlli (ad es., su base settimanale), in altri si effettuano revisioni soltanto al termine del periodo iniziale di trattenimento di sei mesi.
Alternative al trattenimento: esistono in numerosi Stati Membri (soprattutto sotto forma di obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o di dimorare in strutture indicate dalle autorità o di consegnare passaporto e altri documenti) sebbene la stessa Commissione ammetta che, nella pratica, molti Stati le applicano solo in rari casi.
Condizioni del trattenimento: ben poco viene detto sulle condizioni del trattenimento, se non che la Commissione seguirà la situazione da vicino e valuterà le strutture utilizzate dagli Stati per il trattenimento. La Comunicazione informa poi che, nei confronti di alcuni Stati, la Commissione ha mosso i primi passi per aprire delle procedure di infrazione per casi di trattenimenti in condizioni disumane.
Metà degli Stati membri detengono in prigioni ordinarie i migranti irregolari e 9 Stati membri violano l’obbligo di separare gli stranieri irregolari dai detenuti ordinari.
Possibilità di contattare rappresentanti legali, familiari, autorità consolari; tutela della salute; accesso delle organizzazioni internazionali e non governative ai centri: diversi problemi sono stati riscontrati riguardo al rispetto, nella pratica, di questi diritti e garanzie.
Trattenimento dei minori solo in mancanza di alternative: ben 17 Paesi trattengono minori non accompagnati e 19 famiglie con minori.
- Rimpatri volontari e monitoraggio dei rimpatri forzati
Quanto ai rimpatri volontari, la Commissione sottolinea come, a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva rimpatri, tutti gli Stati prevedano ora la concessione al migrante irregolare di un periodo di tempo (da 7 a 30 giorni) per il rimpatrio volontario. Quasi tutti gli Stati prevedono tale concessione come automatica, mentre in tre Stati è necessario richiederla.
Un numero consistente di Stati membri hanno instaurato dei meccanismi di monitoraggio dei rimpatri forzati, affidandoli talvolta ad organizzazioni non governative, talvolta a entità in qualche modo governative. La Commissione non esamina tuttavia l’impatto nella pratica di questi monitoraggi, limitandosi ad affermare che essi giocheranno un ruolo importante nel controllo delle operazioni di rimpatrio.
- Garanzie
Rispetto ai diritti di carattere “procedurale”, si riscontra un adattamento delle legislazioni interne alla direttiva, ma difformità nella pratica: vi sono, infatti, problematiche legate alla mancanza di motivazione adeguata o traduzione delle decisioni di rimpatrio.
Quanto all’obbligo di fornire un rimedio effettivo contro le decisioni di rimpatrio, la Commissione conclude che, benché la normativa di tutti gli Stati lo preveda, in pratica alcuni fattori possono seriamente compromettere l’accesso a tale rimedio (ad esempio la scarsa informazione o difficoltà nell’ottenere tutela legale). La maggior parte degli Stati non prevede che il ricorso contro il trattenimento abbia effetto sospensivo automatico.
- Criminalizzazione dell’immigrazione irregolare
La Commissione evidenzia che la normativa UE non impedisce agli Stati di prevedere che l’ingresso o la permanenza irregolari costituiscano un reato. Tuttavia, diverse sentenze della Corte di Giustizia hanno in questi anni sancito che la detenzione di immigrati come sanzione penale per la loro condizione irregolare è incompatibile con la Direttiva rimpatri in quanto ritarderebbe l’esecuzione dell’ordine di espulsione.
Quanto infine alle disposizioni relative al divieto di reingresso, viene rilevata una convergenza degli Stati attorno al limite massimo di cinque anni, con 6 Stati membri che hanno accresciuto il numero dei divieti di reingresso e 8 che hanno ridotto il limite massimo di tempo per tale divieto.
La conclusione della Comunicazione (Parte V) è largamente positiva. La costituzione di una politica UE nel campo dei rimpatri e, in particolare, l’adozione della Direttiva Rimpatri ha positivamente influenzato la normativa e le prassi degli Stati membri, ad esempio in materia di rimpatri volontari. Si è assistito ad un’armonizzazione (e, specifica la Commissione, ad una generale riduzione) dei tempi massimi di trattenimento e c’è stato un maggior ricorso a forme alternative al trattenimento (anche se è la stessa Commissione che ammette che molti Stati applichino tali misure solo in rari casi)
Dal punto di vista dell’efficienza – o meglio, dell’inefficienza – dei rimpatri, la Commissione attribuisce la colpa a ostacoli di natura pratica, come la difficoltà nell’ottenere documenti da parte dei Paesi terzi.
Come in altre occasioni, la Commissione nella sua relazione sorvola invece su alcuni aspetti critici o delicati, come ad esempio le condizioni del trattenimento, le modalità di attuazione da parte dei singoli Stati membri dei rimpatri forzati, o l’ampio ricorso al trattenimento dei minori, promettendo solo di seguire da vicino tutte le criticità identificate da questa relazione, in vista di possibili procedure di infrazione contro gli Stati inadempienti.
Vai alla Comunicazione della Commissione sulla politica UE in materia di rimpatri