Il 18 dicembre è stato un giorno di attività molto intensa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle materie di nostro interesse. Sono state pubblicate infatti ben tre sentenze molto rilevanti ai nostri fini e nei prossimi giorni pubblicheremo le relative analisi. Cominciamo oggi con l’analisi della sentenza nel caso M’Bodj (C-542/13). 

La sentenza trae origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata alla Corte di Giustizia dalla Corte costituzionale belga. In particolare, il giudice nazionale chiede alla Corte l’esatta interpretazione di alcuni articoli della Direttiva 2004/83/CE (Direttiva Qualifiche, oggi sostituita dalla Direttiva 2011/95/UE) al fine di chiarire se gli Stati membri sono obbligati a concedere assistenza sanitaria e sociale ai sensi degli articoli 28 e 29 della Direttiva, a un cittadino di un Paese terzo autorizzato a rimanere sul territorio sulla base di una normativa nazionale che fa riferimento a motivi di salute. 

La sentenza è interessante in quanto permette alla Corte di svolgere un più ampio ragionamento sulla possibilità o meno che un caso come quello oggetto del procedimento principale – persona a rischio di deterioramento dello stato di salute a causa dell’assenza di terapie adeguate nel suo Paese di origine – rientri nella protezione sussidiaria e dunque nell’ambito di applicazione della Direttiva Qualifiche

Come sempre pubblichiamo nelle righe seguono una breve sintesi della decisione della Corte, rimandando al nostro sito chi volesse scaricare il pdf con l’intera analisi.

Buona lettura!


La Corte, dopo un ragionamento che si descriverà nell’analisi completa, conclude nel senso che gli Stati sono tenuti a concedere l’assistenza sociale e sanitaria come prevista dagli articoli 28 e 29 della Direttiva Qualifiche esclusivamente ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria. Non sono invece tenuti a concedere tali benefici ai cittadini di Paesi terzi autorizzati dalla normativa interna (nazionale) a soggiornare per motivi di salute. 

Secondo i giudici di Lussemburgo, tale autorizzazione al soggiorno – basata sul rischio effettivo di deterioramento dello stato di salute di un cittadino straniero affetto da una malattia grave, per la quale non esistono terapie adeguate nel suo Paese di origine – non equivale né al riconoscimento dello status di rifugiato né alla protezione sussidiaria, a meno che tale mancanza di cure non derivi da una privazione di assistenza inflitta intenzionalmente.

I giudici si spingono anche oltre, fino ad aggiungere che, in simili casi, non è possibile per gli Stati membri concedere la protezione internazionale nemmeno invocando la possibilità, prevista dall’art. 3 della Direttiva Qualifiche, di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli. Infatti, tale possibilità è condizionata al fatto che le eventuali disposizioni nazionali più favorevoli siano compatibili con la direttiva.

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