Alcune settimane fa è stata pubblicata una ricerca comparativa a livello europeo, coordinata da ECRE (European Council on Refugees and Exiles), a cui abbiamo avuto il privilegio di contribuire come referenti per l’Italia. Solo oggi abbiamo modo di darne conto e lo facciamo volentieri sia per contribuire alla diffusione di una ricerca europea che riteniamo interessante sia per ringraziare pubblicamente quanti (e sono stati davvero tanti) ci hanno aiutato per la realizzazione della parte italiana.

La ricerca, intitolata APAIPA (Actors of Protection and the Application of the Internal Protection Alternative), ha ad oggetto l’applicazione nei diversi Paesi europei analizzati (11: Austria, Polonia, Belgio, Spagna, Francia, Svezia, Germania, Paesi Bassi, Ungheria, Regno Unito, Italia) di due concetti chiave nell’esame delle domande di protezione internazionale: quello di “soggetti che offrono protezione” e quello di “alternativa della protezione interna”.

Per ogni Paese analizzato ECRE ha selezionato una o più persone incaricate di svolgere la ricerca a livello nazionale. Come detto, per quanto riguarda l’Italia, la ricerca è stata condotta da alcuni soci di Asilo in Europa. Sulla base degli esiti dei lavori condotti a livello nazionale, ECRE ha infine redatto sia il rapporto comparativo europeo sia i singoli rapporti nazionali.

Potete scaricare il rapporto comparativo (in inglese) a questo link e il rapporto relativo all’Italia (in italiano) qui.

Per quanto riguarda il rapporto comparativo ed i suoi esiti rimandiamo al testo della ricerca, mentre nelle righe che seguono ci soffermeremo brevemente sull’Italia, rimandando comunque anche in questo caso alla lettura del rapporto italiano chi volesse approfondire.



Metodologia
La parte italiana della ricerca si è svolta tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 ed è consistita in un lavoro di:

  1. analisi del sistema di asilo nazionale: legislazione applicabile, organizzazione istituzionale e procedura, ricorsi, rappresentanza e assistenza legale
  2. raccolta e analisi di circa 700 decisioni sulle domande di asilo, tra quelle adottate dalle Commissioni Territoriali e quelle di tribunali, corti d’appello e Cassazione. 


La raccolta di tante decisioni è stata possibile grazie alla collaborazione di numerosi soggetti (associazioni, avvocati, operatori,…), attivi in diverse regioni d’Italia nella tutela e accoglienza dei richiedenti asilo e che ringraziamo qui collettivamente e di cuore per l’apporto indispensabile e la disponibilità. La ricerca italiana si è altresì giovata della collaborazione della Commissione Nazionale per il diritto di asilo che ci ha inviato una cinquantina di decisioni – selezionate sulla base di una serie di criteri da noi proposti – assunte da diverse Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Le circa 700 decisioni così raccolte sono state poi “scremate” fino ad individuare le 100 più interessanti tra quelle in cui veniva fatto riferimento o al concetto di “soggetti che offrono protezione” o a quello di “alternativa della protezione interna” (o a entrambi). 
Di queste, 56 erano decisioni di Commissioni territoriali, 40 erano ordinanze o sentenze di tribunali o corti d’appello e 4 erano decisioni della Corte di Cassazione. 
Quanto agli anni di riferimento, solo 2 delle decisioni che hanno formato il campione finale erano relative al 2009, 9 erano relative al 2010, 27 al 2011, 40 al 2012 e 21 al 2013. In un caso la data della decisione non era specificata ma sicuramente era stata adottata dopo il 17 dicembre 2012.
Nel 54% dei casi esaminati la risposta era stata positiva (riconoscimento di una protezione internazionale o umanitaria), dato grosso modo in linea con il trend complessivo nazionale degli ultimi anni. Anche la nazionalità dei richiedenti asilo nelle decisioni esaminate rifletteva in buona parte la casistica italiana degli ultimi anni, con una prevalenza di nigeriani, pakistani, afghani e ghanesi, così come il sesso dei richiedenti (che nell’80% delle decisioni esaminate era maschile).

Queste 100 decisioni sono poi state oggetto di un’analisi più approfondita, che si è concentrata ovviamente sui due concetti di “soggetti che offrono protezione” e “alternativa della protezione interna”, seguendo la traccia di un articolato e ampio questionario predisposto da ECRE e uguale per tutti i Paesi. 
Sono stati anche condotti un numero limitato di colloqui con osservatori privilegiati, al fine di ottenere ulteriori informazioni utili al completamento del questionario.


La ricerca

Il rapporto italiano si divide in:

  1. Informazioni generali: qui è possibile trovare l’analisi della normativa in vigore, la descrizione della procedura e dell’organizzazione istituzionale (si noti che il periodo di riferimento della ricerca è quello a cavallo tra 2013 e 2014 e dunque alcune informazioni non risultano più aggiornate, alla luce delle modifiche intervenute nel corso del 2014).
  2. Panoramica a livello nazionale: questo capitolo è il “cuore” della ricerca, dove si trova la descrizione dell’uso dei due concetti (“soggetti che offrono protezione” e “alternativa della protezione interna”) nella pratica italiana, sulla base delle decisioni esaminate. 


In estrema sintesi, rimandando ovviamente al rapporto chi volesse approfondire, si può in questa sede anticipare che:

  • “Soggetti che offrono protezione”. Il concetto può descriversi, in maniera molto semplificata, come segue: nel contesto dell’esame delle domande di protezione internazionale, gli Stati devono verificare la possibilità che il richiedente asilo trovi protezione dalla persecuzione o dal danno grave nel suo Paese di origine. Tale protezione, ai sensi dell’art. 7 par. 1 della Direttiva Qualifiche, può essere offerta solo dallo Stato o da partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, a condizione che abbiano la volontà e la capacità di offrire protezione. I successivi paragrafi dell’art. 7 definiscono più precisamente il contenuto di tale protezione. 

Quanto all’applicazione concreta di tale concetto in Italia, benché la legge preveda che i soggetti chiamati a offrire protezione debbano aver adottato “adeguate misure” al fine di prevenire le persecuzioni o i danni gravi, raramente le decisioni esaminate contengono un approfondimento di questa espressione. Al contrario, per la maggior parte, esse fanno semplicemente riferimento alla possibilità per il richiedente di rivolgersi alle autorità pubbliche del suo Paese di origine, ovvero all’esistenza di leggi che sanzionano penalmente i fatti alla base della persecuzione o danno grave. 
Anche il fatto che i familiari del richiedente continuino a vivere nel Paese di origine è spesso utilizzato come indicatore della possibilità per l’interessato di ottenere lì una protezione adeguata. 
Solo in casi sporadici le decisioni esaminate hanno invece valutato la possibilità per il richiedente asilo di accedere concretamente alla protezione, mentre il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità del suo Paese prima di emigrare è stato sovente valutato come elemento negativo in termini di credibilità. Dall’analisi è comunque emerso che spesso alcuni Paesi sono ritenuti “incapaci” attori di protezione nei confronti della generalità dei propri cittadini a causa di una situazione di violenza generalizzata (in particolare Nigeria, Afghanistan, Somalia, Costa d’Avorio, Mali, Guinea, Iraq), ovvero nei confronti solo di alcune categorie specifiche (ad es., donne vittime di tratta in Nigeria, donne a rischio di mutilazioni genitali in Kenia, clan minoritari in Somalia,…).

  • “Alternativa della protezione interna”. Tale concetto, come ribadito in più occasioni dalla Corte di Cassazione (a partire dall’ordinanza 2294/2012 del 25.01.2012), non dovrebbe essere utilizzato in Italia, in quanto il nostro Paese non ha recepito la corrispondente disposizione della Direttiva Qualifiche (art. 8). Per spiegare molto in breve di cosa si tratta, diremo che gli Stati hanno la facoltà, nel contesto dell’esame delle domande di protezione internazionale, di verificare se il richiedente possa avere accesso, in maniera sicura, ad un’altra area del suo Paese rispetto a quella di provenienza, nella quale non vi siano rischi di persecuzione o danno grave, e se ci si possa ragionevolmente aspettare dal richiedente stesso che egli vi si stabilisca. In tal caso, la domanda di protezione internazionale può essere respinta in quanto si può procedere al rimpatrio del richiedente in questa diversa area. 

Si tratta, come detto, di una facoltà concessa agli Stati ma che l’Italia ha scelto di non esercitare in sede di recepimento della Direttiva Qualifiche (sia nella “versione-2004” sia nella “versione 2011”). Pertanto, i decisori italiani non possono fare riferimento a questo concetto. 
Tuttavia, nelle decisioni esaminate, non mancano i riferimenti all’alternativa della protezione interna come unica o, più spesso, una delle motivazioni alla base del rigetto della domanda. 
Si tratta comunque di casi non frequenti e che, peraltro, tendono a scomparire dalla metà del 2012 in avanti, dunque a seguito della suddetta ordinanza della Cassazione. Ciò è certamente positivo, anche perché dalla ricerca emerge come nelle occasioni in cui invece i decisori hanno fatto ricorso al concetto in questione per rigettare una domanda di protezione internazionale, a risentirne è stata soprattutto la qualità della decisione stessa, in quanto l’assenza concreta di rischio per il richiedente asilo nella regione alternativa non è mai stata verificata. Anzi, nella maggioranza delle decisioni esaminate che hanno utilizzato tale concetto, una concreta “regione alternativa” non è nemmeno identificata, in quanto i decisori si sono limitati a ritenere che i richiedenti asilo non sarebbero stati esposti al rischio di persecuzione o danno grave se si fossero stabiliti “in un’altra regione”.


Informazioni sui Paesi di origine

Risultato trasversale a entrambi i concetti è poi il fatto che raramente nelle decisioni di carattere amministrativo (delle Commissioni territoriali) si sono trovati riferimenti precisi alle fonti consultate per ottenere informazioni relative al Paese di origine del richiedente asilo (“COI”). Tali fonti sono invece citate in buona parte delle decisioni di carattere giurisdizionale esaminate, anche se spesso si tratta di fonti dalla dubbia pertinenza con l’ambito della protezione internazionale (come il sito “viaggiaresicuri”).


Le raccomandazioni

Sia il rapporto comparativo sia i rapporti nazionali si concludono con alcune raccomandazioni. Ci limitiamo qui a riportare quelle rivolte all’Italia:

  • “Qualora lo Stato faccia uso del concetto di “soggetti che offrono protezione”, questo deve avvenire in conformità alle norme di diritto internazionale, nonché a quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva qualifiche e dall’articolo 6 del D.Lgs. 251/2007 cosi come modificato dal D.Lgs. 18/2004. In particolare, deve essere dimostrato che il richiedente può in pratica avvalersi della protezione da parte di un soggetto che offre protezione, che avrà accesso a tale protezione, e che tale protezione non e’ temporanea.
  • Laddove siano soggetti statali a perpetrare – o tollerare – atti di persecuzione o danno grave, la presunzione che una protezione efficace non sia disponibile deve operare.
  • In conformità alla decisione della Corte di Cassazione del 25 gennaio 2012, l’alternativa della protezione interna non deve del tutto essere applicata, sia questa o meno la principale motivazione per rigettare la domanda di protezione internazionale.
  • Le decisioni di prima istanza devono contenere il chiaro riferimento alle informazioni sul Paese d’origine utilizzate dai decisori”

  • Vai al rapporto comparativo europeo (EN)
    Vai al rapporto nazionale sull’Italia