Come vi avevamo anticipato, torniamo a occuparci delle sentenze pubblicate dalla Corte di Giustizia UE sul finale del 2014.
La sentenza di oggi – di cui, come al solito, pubblichiamo su questo blog una breve sintesi, rimandando al nostro sito chi volesse scaricare l’analisi completa – trae origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte di giustizia dalla Corte del lavoro (Cour du travail) di Bruxelles (Belgio) e va letta congiuntamente alla pronuncia emessa nel medesimo giorno (18 dicembre 2014) nel caso M’Bodj, da noi commentata qui.
In effetti, se la decisione adottata dalla Corte di giustizia in quest’ultimo caso consente di sciogliere un dubbio interpretativo comune – vale a dire chiarisce che il cittadino di Paese terzo, affetto da una grave malattia, che corra il rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante se rinviato nel Paese di origine sprovvisto di una terapia medica adeguata, non può invocare la protezione sussidiaria di diritto UE e, quindi, l’applicazione della direttiva 2004/83/CE (Direttiva Qualifiche, oggi sostituita dalla Direttiva 2011/95/UE) – la decisione adottata nel caso Abdida permette, come si vedrà meglio nelle righe che seguono, di individuare una forma alternativa di protezione nella c.d. Direttiva Rimpatri (Direttiva 2008/115/CE).
Nel caso in esame oggi, la Corte di giustizia era stata chiamata a interpretare tutte e tre le direttive più importanti alla base del sistema europeo comune di asilo nonché diverse disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, al fine di chiarire se uno Stato membro sia obbligato, da un lato, ad attribuire effetto sospensivo al ricorso giurisdizionale proponibile contro la decisione di diniego del permesso di soggiorno per motivi di salute contemplato dalla normativa nazionale e, dall’altro lato, a riconoscere, nelle more della decisione su tale ricorso, il diritto dell’interessato a percepire un contributo a titolo di assistenza sociale, in aggiunta all’assistenza sanitaria urgente.
La Corte, alla luce dell’interpretazione già data alla direttiva qualifiche nella sentenza relativa al caso M’Bodj, esclude l’applicabilità al caso di specie delle direttive qualifiche, procedure e accoglienza e riformula la domanda del giudice nazionale, trasformandola in un quesito d’interpretazione della direttiva rimpatri e della Carta dei diritti fondamentali.
La Corte, a seguito di un ragionamento che si descrive in maniera più ampia nell’analisi completa scaricabile dal nostro sito, conclude nel senso che la direttiva rimpatri, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali, obbliga gli Stati membri a:
– conferire effetto sospensivo a un ricorso proposto contro una decisione che ordina a un cittadino di Paese terzo affetto da una grave malattia di lasciare il loro territorio, quando l’esecuzione di tale decisione può esporre tale cittadino a un serio rischio di deterioramento grave e irreversibile delle sue condizioni di salute, e
– prevedere la presa in carico, per quanto possibile, delle necessità primarie di detto cittadino di Paese terzo, al fine di garantire che le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie possano effettivamente essere forniti nelle more del ricorso.
Scarica l’analisi completa della sentenza