Care lettrici e cari lettori,
pubblichiamo oggi un breve report del panel che abbiamo condotto nel corso della recente conferenza annuale di Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate, “Da Mare Nostrum a Triton. Protezione, controllo e sistemi di accoglienza“, che si è svolta a Milano nei giorni 11 e 12 giugno 2015. 

Il panel – “Emergenza senza fine o fine dell’emergenza? Quali prospettive per l’accoglienza in Italia?” – ha raccolto un’ottima partecipazione di pubblico e rappresentato un importante spazio di incontro tra operatori del settore e mondo della ricerca, all’interno del quale è stato possibile riflettere sullo stato dell’arte e sulle prospettive dell’accoglienza in Italia, alla luce delle recenti trasformazioni che l’hanno investita. 
Il taglio dell’incontro è stato molto operativo e la grande varietà dei casi trattati ha offerto una preziosa fotografia sulle dinamiche che stanno caratterizzando l’accoglienza, in senso negativo (emergenza ed effetti conseguenti) e positivo (accoglienza diffusa, rete territoriale).
Buona lettura!



Emergenza senza fine o fine dell’emergenza? 
Quali prospettive per l’accoglienza in Italia

Proponente: Associazione Asilo in Europa


Attraverso i contributi di operatori del settore e studiosi, il panel ha discusso lo stato dell’arte e le prospettive dell’accoglienza in Italia, alla luce delle recenti trasformazioni quali la conclusione delle misure emergenziali ENA, il significativo allargamento della rete Sprar, l’avvio di un’ennesima gestione emergenziale (CAS/Mare Nostrum), nonché la sottoscrizione da parte della Conferenza Unificata Stato-Regioni di un Piano operativo nazionale (10.07.2014) che costituisce un primo tentativo di ideazione di un sistema unico di accoglienza, imperniato sulla rete Sprar ed organizzato per fasi (soccorso e prima assistenza, prima accoglienza e qualificazione, seconda accoglienza e integrazione). Il taglio dell’incontro è stato molto operativo e la grande varietà dei casi trattati ha offerto una preziosa fotografia sulla dinamiche che stanno caratterizzando l’accoglienza, sia in senso negativo (emergenza ed effetti conseguenti) sia positivo (accoglienza diffusa, rete territoriale).

L’Associazione Asilo in Europa ha introdotto la discussione presentando l’implementazione del Piano operativo sopra menzionato nel territorio dell’Emilia-Romagna, dove nel luglio 2014 è stato riadattato l’ex CIE di via Mattei a Bologna, con funzioni di hub regionale. L’hub è dedicato alla fase di primissima accoglienza dei migranti destinati al territorio regionale dal Ministero dell’Interno, i quali in seguito a screening sanitario ed identificazione vengono indirizzati presso progetti di accoglienza nelle province emiliano-romagnole. Il centro svolge quindi funzioni di prima accoglienza e soccorso, delocalizzando di fatto queste attività rispetto ai confini costieri dell’Italia meridionale. La permanenza nel centro varia indicativamente da una e a tre settimane
L’attivazione dell’hub regionale ha permesso di istituire un sistema che organizza a livello regionale l’arrivo e la prima accoglienza, evitando così trasferimenti diretti dai centri in prossimità degli sbarchi ai Centri di accoglienza straordinari (CAS) che generalmente non sono attrezzati per gestire arrivi con numeri elevati e svolgere funzioni di prima accoglienza (identificazione, visita medica ed RX torace, informativa su procedure e iter di richiesta protezione, mediazione linguistico-culturale). Questo ancora oggi succede in molte regioni italiane. La creazione dell’hub regionale, al contrario, rappresenta la sperimentazione pratica di un sistema di accoglienza organizzato in fasi. In considerazione dell’elevato flusso di migranti, esso può rappresentare una scelta migliorativa che innalza gli standard di accoglienza nella delicata fase di trasferimento successiva allo sbarco, di organizzazione e di invio a strutture di prima accoglienza. 

Nel primo intervento, dal titolo “L’emergenza perenne. Quanto uno stato d’eccezione si concretizza in violazione dei diritti”, Lucia Borghi ha sottolineato gli effetti negativi dell’impostazione emergenziale della “macchina dell’accoglienza” con riferimento specifico al contesto siciliano. Dopo aver evidenziato similitudini e differenze tra l’attuale sistema di accoglienza e quello avviato in seguito all’emergenza Nord-Africa, Borghi ha richiamato l’attenzione sulle conseguenze negative dovute all’improvvisazione e alla precarietà nell’ambito sia della prima sia della seconda accoglienza. I problemi cominciano al momento dello sbarco, laddove la mancanza di una prassi standardizzata di intervento e di un coordinamento tra i diversi attori coinvolti, nonché la mancanza di volontà nel perfezionare le modalità di gestione, si traducono in un maggior disagio per i migranti in arrivo. In seguito, la relatrice ha posto l’accento sulle strutture di primissima accoglienza, laddove appellandosi all’urgenza vengono lasciati centinaia di migranti per intere settimane, spesso in condizione di promiscuità e senza adeguata tutela individuale. L’intervento ha quindi discusso i limiti strutturali e gestionali dei CAS, dovuti alla mancanza di un monitoraggio adeguato ed efficace da parte delle istituzioni preposte, per poi passare ad analizzare le ricadute negative dell’impostazione emergenziale sul sistema SPRAR (assunzione di personale poco qualificato, ampliamento delle strutture senza un effettivo potenziamento dei servizi richiesti). Infine, il richiamo ad episodi concreti di vita quotidiana di alcuni migranti ha permesso di sottolineare quanto le gestione emergenziale si concretizzi in situazioni di violenza strutturale per i profughi e necessiti pertanto di un urgente ripensamento delle politiche migratorie che continuano a sostenerla.

Nel secondo intervento, “Brescia, tra emergenza e accoglienza diffusa”, Giuditta Serra e Vanessa Tullo hanno analizzato il caso bresciano per riflettere sulle difficoltà relative alla creazione di una rete di accoglienza diffusa, laddove le norme del decreto legislativo 140/05 attribuiscono alle Prefetture l’onere di individuare luoghi idonei e disponibili all’accoglienza, senza però dotarle di alcuno strumento efficace affinché le istituzioni locali mettano a disposizione le strutture e le forze necessarie a svolgere tale compito. Nel contesto bresciano, questa ambiguità legislativa si è tradotta in tempi recenti nell’ostilità di vari comuni rispetto all’accoglienza di richiedenti asilo sul proprio territorio. 
Tuttavia, per far fronte a tali difficoltà, nel marzo 2015 Provincia, Forum del Terzo settore, Associazione dei Comuni Bresciani, Comune di Brescia e numerosi comuni della provincia hanno sottoscritto l’Accordo Territoriale Per L’accoglienza Diffusa In Provincia Di Brescia. Tale accordo impegna i soggetti coinvolti nella realizzazione di un sistema di accoglienza diffusa, in quanto i comuni aderenti si impegnano a trovare sul proprio territorio strutture idonee all’accoglienza dei rifugiati (entro limiti proporzionali al numero di residenti). L’obiettivo primario è dunque quello di evitare nuove soluzioni emergenziali, come l’utilizzo di hotel per esempio, offrendo soluzioni di accoglienza adeguate, integrate con il territorio e rispettose dei diritti dei richiedenti asilo. 
Nonostante l’Accordo rappresenti un significativo passo avanti, le relatrici hanno sottolineato come i nuovi posti individuati (101) siano appena sufficienti per far fronte all’incremento del numero di richiedenti asilo assegnato alla Provincia di Brescia, lasciando cosí un numero importante di persone in emergenza, in uno stato di semiabbandono e forte disagio. Infatti, le strutture alberghiere private si sono rivelate il più delle volte inadeguate ed inadempienti, in quanto spesso si limitano a fornire vitto e alloggio, dimenticando gli adempimenti richiesti in materia di accompagnamento legale, psicologico, linguistico, lavorativo e d’integrazione. Inoltre, queste strutture non sono generalmente dotate di personale qualificato e sono di frequente situate in zone criminose o isolate. Serra e Tullo hanno concluso evidenziando come il risultato di tale situazione sia la creazione di due diversi sistemi d’accoglienza: un modello di serie A, garantito dagli standard SPRAR, e un modello di serie B, limitato ai servizi di base.

Nel terzo intervento, “Tanta emergenza, tanto business”, Marco Bova ha evidenziato i rischi connessi alle gestione emergenziale, con particolare riferimento al cosiddetto “business dell’accoglienza” ed al malaffare nella gestione dei centri di accoglienza. Bova ha posto l’attenzione sulla nascita di un “sistema dei centri”, in cui si è assistito all’ingresso di grossi gruppi imprenditoriali che, talvolta in collaborazione con cooperative locali, si sono imposti nella gestione dei centri di accoglienza. Così, alcuni consorzi hanno iniziato ad accaparrarsi la gestione di centri in tutta la penisola, in netta controtendenza rispetto al principio dell’accoglienza diffusa, che promuove un’accoglienza composta da reti di associazioni integrate nel territorio. Allo stesso tempo, però, l’ascesa di vere proprie holding dell’accoglienza è stata accompagnata, in seguito sia alla gestione emergenziale ENA sia a quella Mare Nostrum, all’apertura del sistema di accoglienza a veri e propri parvenus del settore, privi di qualsivoglia esperienza e competenza. Si è così assistito alla frequente apertura di centri di accoglienza straordinari (CAS) per assegnazione diretta, in mancanza di operatori specializzati e di servizi fondamentali come il supporto medico-psicologico e la mediazione linguistica. Tutto ciò, ha concluso Bova, sta permettendo un vero e proprio recruiting occupazionale in territori oppressi dalla disoccupazione e dalla pervasiva intromissione della “politica organizzata” nei processi di selezione sociale. 

Nel quarto ed ultimo intervento, “Terra d’asilo. Il sistema territoriale asilo nella provincia di Parma tra radicamento, innovazione e trasformazione”, Michele Rossi ha riflettuto sulla costruzione e funzionamento di un sistema di accoglienza territoriale capillare e diffuso, focalizzando l’attenzione sul contesto parmense. A partire dal 2001, nel territorio parmense si è cercato di costruire un modello di accoglienza “organico”, in grado di garantire capillarità e continuità di azione lungo il percorso di evoluzione dei diritti e dei bisogni di richiedenti e titolari di protezione internazionale. L’obiettivo che ha informato l’attività di CIAC Onlus (Centro immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale) è stato pertanto quello di costruire una filiera dell’accoglienza, risultante dall’integrazione di differenti servizi e azioni specifiche (tempestiva emersione in sede territoriale, accesso ai servizi di tutela socio-sanitaria, costruzione di percorsi di integrazione sociale) e basata sui seguenti fattori chiave: carattere reticolare e diffuso, sussidiarietà tra funzioni pubbliche e specifiche competenze, definizione di luoghi istituzionali deputati al governo del sistema in un’ottica di co-responsabilità, valorizzazione della soggettività migrante in chiave socio-culturale in termini di politiche di cittadinanza. 
Il baricentro della filiera è rappresentato dai progetti SPRAR che hanno interpretato il loro specifico mandato in chiave territoriale, sviluppando l’area della tutela attraverso la sua messa in pratica e talvolta forzando i limiti stessi dello SPRAR, come nel caso del progetto di pronta accoglienza e assistenza per richiedenti asilo vulnerabili o nel caso dell’accoglienza in famiglia integrata ai servizi SPRAR, con l’obiettivo di concludere il percorso di integrazione sociale anche attraverso la valorizzazione di legami comunitari. Questo approccio ha permesso di non rinunciare all’idea di integrazione quale obiettivo fondante dello SPRAR, anche in situazioni di difficoltà riguardo alle possibilità di occupazione lavorativa o di forti aumenti delle presenze sul territorio. Allo stesso tempo, tale approccio mira a promuovere l’esigibilità dei diritti, anche per coloro al di fuori dei canali istituzionalmente predefiniti di accoglienza come SPRAR e Mare Nostrum. Rossi ha infine sottolineato come nel rapporto chiave tra capillarità e continuità la filiera dei servizi assuma una importante qualità di “resilienza”, costituendosi come una struttura elastica capace – in teoria – di essere percorsa a diversi livelli in funzione di specifiche necessità e di attivarsi in qualunque momento della vicenda personale.