Dopo aver parlato, all’interno del nostro spazio chiamato “La crisi dell’asilo in Europa“, delle decisioni in materia di ricollocazione “a beneficio di Italia e Grecia” e della proposta di introduzione di una lista comune europea di Paesi di origine sicuri, ci occupiamo oggi della proposta della Commissione del 9 Settembre 2015 finalizzata a istituire un meccanismo permanente di ricollocazione in fase di crisi.
Come di consueto, presentiamo un’analisi della proposta, seguita da alcune nostre brevi conclusioni.
Di cosa si tratta?
Si tratta di una proposta di Regolamento che dovrà essere negoziata e approvata dal legislatore europeo secondo la procedura ordinaria. La proposta si compone di due articoli, di cui solo il primo riveste un’importanza sostanziale, in quanto andrebbe a modificare gli artt. 2, 4, 18 del Regolamento Dublino 3 oltre al capo VI dello stesso regolamento, con l’introduzione di una sezione VII intitolata “Meccanismo di ricollocazione di crisi”, che consta di quattro articoli: articolo 33 bis, 33 ter, 33 quater e 33 quinquies.
Base giuridica e ratio della proposta
La base giuridica della proposta è l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e) del TFUE, cioè la stessa del Regolamento Dublino. Si tratta della base giuridica che consente all’Unione di adottare misure sui “criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo o di protezione sussidiaria”. Si tratta di una scelta indicativa. Infatti, le precedenti Decisioni in materia di ricollocazione, già da noi analizzate, erano state adottate sulla base dell’art. 78, paragrafo 3 che è invece la base giuridica per adottare misure in caso di situazioni di “emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi”. Fin dalla scelta della base giuridica, dunque, occorre evidenziare che non si tratta di una misura emergenziale ma di qualcosa di diverso. L’obiettivo della Commissione – come si può leggere nella Relazione che precede la proposta – è quello di “fare in modo che l’Unione disponga di un solido meccanismo di ricollocazione di crisi per gestire in modo strutturale ed efficace le situazioni critiche nel settore dell’asilo”.
Contenuto della proposta
Il nucleo della proposta in esame consiste nell’istituzione di un meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo in momenti di crisi, introdotto attraverso l’aggiunta di un nuovo articolo 33 bis all’interno del Regolamento Dublino, il cui paragrafo 1 reciterebbe:
Prendiamo ora in considerazione i punti fondamentali della proposta.
1) Verifica delle condizioni di applicazione del meccanismo: il meccanismo si attiverebbe soltanto nel caso in cui, in base a “informazioni comprovate”, lo Stato membro interessato si trovi “ad affrontare una situazione di crisi che ostacola l’applicazione del regolamento [Dublino] a causa dell’estrema pressione esercitata da un afflusso massiccio e sproporzionato di cittadini di paesi terzi o apolidi, che ne sottopone il sistema di asilo a considerevoli sollecitazioni”. La proposta specifica che è compito della Commissione effettuare tale valutazione avvalendosi in particolare di informazioni ottenute dall’EASO e da FRONTEX e sulla base di indicatori quali “il numero totale di richiedenti protezione internazionale e di ingressi irregolari di cittadini di paesi terzi e apolidi nei sei mesi precedenti l’adozione dell’atto delegato; l’aumento di tale numero rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente; il numero di domande pro capite presentate nello Stato membro beneficiario della ricollocazione nei 18 mesi precedenti rispetto alla media dell’Unione”. La situazione di crisi dovrà essere tale “da sottoporre a un’estrema pressione anche un sistema di asilo ben preparato che funzioni in conformità con tutti gli aspetti pertinenti dell’acquis dell’UE in materia di asilo, tenendo conto delle dimensioni dello Stato membro interessato”
2) Definizione delle categorie di richiedenti da ricollocare: potrebbero rientrare nel meccanismo di ricollocazione in esame soltanto i richiedenti che appaiano prima facie bisognosi di protezione internazionale, ossia, secondo la definizione proposta nel nuovo articolo 33 quater, par. 2 “appartenenti a nazionalità per le quali la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, in base agli ultimi dati medi trimestrali Eurostat (…) è pari o superiore al 75% delle decisioni sulle domande di protezione internazionale adottate in primo grado (…)”. Si tratta dello stesso limite previsto nelle Decisioni “emergenziali”.
In fase di scelta dei richiedenti da ricollocare, come specificato anche nel Considerando 13, dovrebbe inoltre essere riconosciuta priorità ai richiedenti vulnerabili, con una particolare considerazione per esigenze particolari (ad es. la salute) e tenendo sempre in conto il superiore interesse del minore.
3) Meccanismo di ricollocazione: la proposta in esame mira a definire un meccanismo di ricollocazione semplice e celere. La procedura, come descritta nell’allegato IV alla proposta, prevede che gli Stati membri comunichino con una cadenza regolare (almeno ogni tre mesi) il numero di richiedenti che sono in grado di ricollocare sul proprio territorio. Lo stato membro beneficiario della ricollocazione, invece, è chiamato ad identificare i singoli richiedenti che intende ricollocare e lo Stato membro di ricollocazione; dopo l’approvazione da parte di quest’ultimo, lo Stato che beneficia della ricollocazione deve assumere una decisione formale di ricollocazione, da notificare a ciascun richiedente, garantendo che i familiari siano trasferiti nello stesso Stato. I richiedenti possono essere ricollocati solo previa rilevazione delle impronte e relativa trasmissione delle stesse al sistema centrale Eurodac.
Per uno Stato sarebbe possibile rifiutare una ricollocazione specifica, ma “solo in presenza di preoccupazioni per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, o in presenza di serie ragioni per applicare le disposizioni in materia di esclusione di cui agli articoli 12 e 17 della direttiva [Qualifiche]”. Si tratta di una possibilità distinta dalla “impossibilità temporanea” a partecipare tout court alla ricollocazione (V. sotto).
Si prevede che la procedura debba concludersi il prima possibile e comunque entro due mesi dall’indicazione, da parte dello Stato di ricollocazione, del numero di richiedenti che è in grado di accogliere. Sono possibili comunque estensioni a tale limite, fino ad un massimo di 3 mesi e mezzo e fatta sempre salva la possibilità degli Stati di accordarsi diversamente.
4) Attivazione del meccanismo: è un potere che la proposta (art. 33 bis) attribuisce alla Commissione che adotta un “atto delegato”, nel quale: a) verifica (sula base di quanto descritto sopra, al punto 1) l’esistenza di una situazione di crisi nello Stato membro beneficiario della ricollocazione; b) determina il numero di persone da ricollocare da tale Stato membro (secondo gli indicatori descritti sotto, al punto 5); c) determina la distribuzione di tali persone tra gli Stati membri applicando la formula di distribuzione (V. sotto, punto 8); d) stabilisce il periodo di applicazione del meccanismo di ricollocazione di crisi.
5) Definizione del numero di richiedenti da ricollocare: la proposta (art. 33 bis par. 6) stabilisce una soglia massima per il numero di persone da ricollocare, pari al 40% delle domande presentate nello Stato membro in questione nei sei mesi precedenti l’adozione dell’atto delegato. Quanto al numero preciso di richiedenti da ricollocare, la proposta (sempre all’art. 33 bis par. 6) prevede che esso debba essere stabilito sulla base dei seguenti indicatori:
– numero di richiedenti protezione internazionale pro capite nello Stato membro beneficiario della ricollocazione nei 18 mesi, e soprattutto nei 6 mesi, precedenti l’adozione dell’atto delegato, rispetto alla media dell’Unione;
– la capacità del sistema di asilo di tale Stato membro;
– la partecipazione dello Stato membro a precedenti iniziative di solidarietà e la misura in cui lo Stato membro ha beneficiato di precedenti misure di solidarietà dell’UE.
6) Impossibilità temporanea: la proposta (art. 33 ter) contempla anche l’ipotesi in cui uno Stato si dichiari temporaneamente impossibilitato a partecipare alla ricollocazione, in presenza di circostanze eccezionali. In particolare, si prevede che, entro un mese dall’entrata in vigore dell’atto delegato che istituisce la ricollocazione, è possibile che uno Stato dichiari la sua incapacità temporanea “di partecipare, del tutto o in parte, alla ricollocazione dei richiedenti per il periodo di un anno”. Lo Stato che dichiari una simile impossibilità è tenuto comunque a presentare “motivi debitamente giustificati compatibili con i valori fondamentali dell’Unione sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea” ed è tenuto a versare un contributo finanziario al bilancio dell’UE, pari allo 0,002% del suo PIL da destinare al Fondo Asilo, migrazione e integrazione. Tale quota è ridotta proporzionalmente in caso di partecipazione parziale. In caso di mancata partecipazione, totale o parziale, di uno Stato, la quota di richiedenti asilo ad esso spettante sarebbe divisa, sempre in base alla formula di distribuzione (V. sotto, punto 8), fra gli altri Stati partecipanti.
7) Obblighi complementari: la proposta introduce un obbligo per lo Stato membro beneficiario della ricollocazione di definire una “tabella di marcia” da presentare alla Commissione stessa nel momento di entrata in vigore dell’atto delegato, allo scopo di garantire “l’adeguata attuazione del meccanismo di ricollocazione di crisi”. La Commissione avrebbe il potere di sospendere il meccanismo di ricollocazione nel caso in cui lo Stato membro che ne beneficia non adempia ai suoi obblighi.
In materia di obblighi complementari, la proposta in esame prevede inoltre l’adozione da parte degli Stati membri di misure volte a contrastare i movimenti secondari dei beneficiari ricollocati verso altri Stati membri; in particolare, come si evince dalla modifica che interverrebbe sull’art. 18 del Regolamento Dublino (chiarita dalla lettura del Considerando n° 17 della proposta in esame), lo Stato membro di ricollocazione sarebbe chiamato a riprendere in carico un beneficiario di protezione internazionale che, dopo essere stato ricollocato, abbia presentato domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro oppure si trovi nel territorio di un altro Stato membro senza soddisfare le condizioni di soggiorno. La proposta indica (al Considerando n° 18) alcuni esempi di misure utili a contrastare i movimenti secondari, quali la possibilità di introdurre un obbligo di presentarsi alle autorità; assumere altre misure volte ad informare i richiedenti ricollocati delle condizioni alle quali possono fare ingresso o soggiornare legalmente in un altro Stato membro; fornire ai richiedenti protezione internazionale determinate condizioni materiali di accoglienza; non fornire ai medesimi documenti di viaggio durante il periodo di analisi della domanda o altri incentivi (come ad esempio denaro) che potrebbero facilitare movimenti irregolari.
8) Formula di distribuzione: questa la chiave di calcolo della ricollocazione, sulla base della quale individuare il numero di richiedenti da ricollocare in ciascuno Stato membro partecipante:
“a) Popolazione: 40%
b) PIL totale: 40%
c) Numero medio di domande di asilo nei 5 anni precedenti per milione di abitanti, con un tetto massimo del 30% della popolazione e del PIL: 10%
d) Tasso di disoccupazione, con un tetto massimo del 30% della popolazione e del PIL: 10%”
Conclusioni
Nonostante sia da considerarsi positivo il tentativo di passare da misure emergenziali a un meccanismo strutturale, molti sono tuttavia, a nostro avviso, gli elementi critici di questa proposta.
Prima di tutto, l’ambiguità di molte definizioni: come misurare una situazione di “estrema pressione” e un “afflusso massiccio e sproporzionato” di richiedenti protezione internazionale? Certo, la proposta prevede alcuni indicatori ma anche questi sono generici (il numero dei richiedenti asilo pro capite, l’aumento rispetto all’anno precedente,…ma non si specifica quale numero, quale aumento…). La mancanza di indicatori precisi che facciano scattare in automatico il meccanismo temporaneo di distribuzione lascia un’eccessiva discrezionalità alla Commissione, con il rischio di interminabili negoziati tra questa e gli Stati che si ripercuoterebbero sulle tempistiche e quindi sull’efficacia stessa delle misure.
Inoltre, restando sempre possibile l’adozione, da parte del Consiglio, di misure emergenziali, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE (come le Decisioni già approvate negli scorsi mesi), la mancata introduzione di criteri precisi per distinguere le due fattispecie (meccanismo strutturale e meccanismo emergenziale) non aiuta a chiarire quando attivare l’uno o l’altro meccanismo.
Infine, l’efficacia.
Stiamo osservando con attenzione gli sviluppi delle Decisioni “emergenziali” già approvate e in vigore. Strumenti da noi fortemente criticati fin dall’inizio proprio per la loro distanza dalla realtà. Come pretendere di garantire, in questa fase storica, che i richiedenti asilo accettino la destinazione individuata per loro e soprattutto vi restino, anche quando questa non è gradita, rimane per noi un mistero, all’interno di un’area che si vuole priva di controlli alle frontiere interne. Su questo le proposte della Commissione per contrastare i movimenti secondari appaiono francamente ben poca cosa.
Qui sta ovviamente la radice del problema che ha portato “l’impianto di Dublino” al fallimento. Fallimento che era chiaro anche quando i movimenti verso l’UE di migranti forzati erano numericamente inferiori, ma che è addirittura macroscopico nella sua evidenza ora che tali movimenti hanno raggiunto dimensioni più elevate.
Osservandola da questo punto di vista, anche la proposta in esame – così come le precedenti Decisioni “emergenziali” – appare in realtà un altro tentativo di salvare “l’impianto di Dublino” senza affrontare realmente i problemi di fondo di tale struttura.
A questo si aggiunge – come stiamo osservando in questi mesi – la scarsa disponibilità da parte degli Stati, talvolta per oggettive difficoltà talvolta per ragioni di politica interna, di accettare la ricollocazione sul proprio territorio di richiedenti asilo.
Tutto quanto detto ci porta a dubitare fortemente del fatto che questa proposta, qualora venga approvata, possa rappresentare una soluzione di qualche utilità.
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