Il testo che segue è un breve estratto dell’intervento che abbiamo presentato a Brescia, su invito dell’associazione ADL a Zavidovici, in occasione del convegno “Richiedenti protezione internazionale in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere”, organizzato all’interno del Brescia Pride 2017. Per maggiori informazioni sulle nostra attività in materia di COI – Country of Origin Information e per richiederci formazioni, interventi, collaborazioni, vi invitiamo a visitare la nostra pagina dedicata.
Buona lettura!
Il contributo “Le persecuzioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere nei principali paesi di origine dei richiedenti asilo presenti in Italia” si è focalizzato sul contesto da cui provengono molti richiedenti protezione in Italia. Partendo dal quadro generale presentato dall’ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans, and Intersex Association) facente riferimento all’anno 2016, si evince che in molte zone del mondo come Est Europa, Asia (Cina) o alcuni Stati dell’Africa occidentale come il Mali, non c’è una legislazione specifica sui diritti LGBTI, ma anzi si penalizzano le unioni tra persone dello stesso sesso. In alcune regioni le unioni LGBTI vengono identificate come un crimine che va condannato penalmente, oltre che moralmente (ad esempio in alcuni Stati africani come Egitto e Sudan o Paesi asiatici, come India e Pakistan). Tra questi ultimi Paesi che identificano l’essere LGBTI come un reato, le persone possono essere incarcerate o addirittura condannate a morte. La condizione degli individui LGBTI in alcuni di questi Paesi è spesso ai margini della società, vengono discriminati per l’accesso alle cure mediche, l’accesso al mercato del lavoro, o sono costretti a subire violenze psicologiche o fisiche (fonte: report State Sponsored Homophobia; Maps-Sexual Orientation Law) L’ILGA inoltre ha pubblicato alcuni sondaggi realizzati in tutto il mondo, ne riportiamo uno come esempio, in cui si chiedeva se il matrimonio tra persone dello stesso sesso fosse equiparato a quello etero. I risultati sono che se in Europa il 41% delle persone ha risposto affermativamente, nel continente africano il 59% degli intervistati ritiene che non siano equiparabili matrimoni omosessuali a quelli eterosessuali. Questo è solo un esempio per capire meglio il contesto dei Paesi di origine dei richiedenti protezione internazionale.
Abbiamo analizzato sulla questione LGBTI la situazione in 3 Paesi, Afghanistan Pakistan e Gambia, tutti a maggioranza musulmana e fortemente omofobi.
In Afghanistan l’omosessualità è considerata un reato punibile penalmente con “lunga detenzione” secondo il codice penale, mentre la costituzione permette di ricorrere alla Sharia (la legge islamica), secondo cui è possibile condannare a morte le persone che hanno rapporti con persone dello stesso sesso (art.130). Ciò avviene soprattutto nelle zone rurali, invece nelle grandi città si rischia “solamente” l’incarcerazione. Tuttavia nel Paese l’omosessualità è considerato un tabù, un fenomeno che riguarda solo le società occidentali, perciò c’è una grande lacuna o quasi assenza di informazioni sulla comunità LGBTI come pure sulle associazioni a difesa dei loro diritti. In Afghanistan non esistono leggi contro le discriminazioni o molestie sulla base dell’orientamento sessuale o identità di genere e perciò le persone che si proferiscono LGBTI possono essere discriminate, in primis dalla famiglia e dalla propria comunità. In questo caso, possono essere additate come “disonore” della famiglia o della comunità di provenienza e corrono il rischio di essere vittime del cosiddetto “honour killing” (delitto d’onore). Anche nell’ambito pubblico possono essere discriminate dalle stesse autorità, che possono recare loro molestie o violenze. Il governo afgano è stato sollecitato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a inserire delle norme anti-discriminazione ma tale suggerimento è stato ignorato.
Per quanto riguarda il Pakistan, la legge non fa riferimento apertamente all’omosessualità, ma nel codice penale è menzionato che ogni relazione “contro ordine di natura” è punibile con l’imprigionamento fino all’ergastolo. Neanche in Pakistan esiste una legislazione a tutela della comunità LGBTI, perciò chi viene identificato come tale rischia di essere discriminato sia a livello statale che da parte di attori non statali. Per queste ragioni, sono pochi coloro i quali si identificano come LGBTI e chi lo fa di solito appartiene a una classe sociale alta e vive nelle grandi città. La maggior parte della popolazione ignora il significato della parola “gay” e tende ad identificare gli individui LGBTI con appellativi di accezione negativa: zenana, donna in un corpo di uomo, gorya, uomo che ha il ruolo passivo nella relazione con un altro uomo e malishia cioè chi pratica massaggi o a chi si prostituisce. I transgender, chiamati hijras, sono i più visibili della comunità LGBTI pakistana e perciò anche i più discriminati: infatti essi vivono in comunità a sé stanti guidate da un guru, lontano dai centri abitati. Sono costretti a lavorare come “artisti”, in strada o nei matrimoni e spesso finiscono nei giri della prostituzione. Tuttavia nel 2009 la Corte suprema ha affermato la possibilità di introdurre sulla propria carta d’identità l’espressione “terzo sesso”, nonostante le dichiarazioni di un membro dell’assemblea provinciale del Khyber Pakhtunkhwa che affermavano che il «terzo sesso» è anti-islamico. La stessa assemblea provinciale, nel dicembre 2016, ha emesso una delibera in cui invitava il governo federale ad allargare il diritto di voto anche alla comunità transgender, che nella provincia ha subito particolari attacchi negli ultimi due anni. Probabilmente questa delibera è stato frutto anche del lavoro di Trans-Action, un network provinciale di attivisti transgender.
Infine il Gambia, che condanna penalmente ogni relazione “fuori natura” con l’incarcerazione. Nel 2014 è stato introdotto con un emendamento al codice penale, l’aggravante di omosessualità: chi commette tale reato, classificato tra quelli più gravi (“serial offenders”), può essere condannato fino all’ergastolo. E’ considerato crimine anche “ogni atto di indecenza” commesso da sex worker o da uomini che hanno rapporti con altri uomini. Dall’introduzione di questo emendamento, le discriminazioni contro gli individui LGBTI sono aumentate: sono stati riportati arresti arbitrari, abusi e torture durante la detenzione, violenze per far confessare le persone accusate o soltanto sospettate di essere omossessuali. Le autorità hanno organizzato delle vere e proprie retate porta a porta per scovare gli omosessuali nel Paese. Ad aggravare questo atteggiamento fortemente omofobico in Gambia ha contribuito anche la retorica di stampo islamista dell’ex Presidente Jammeh, il quale additava l’omosessualità come comportamento satanico e quindi anti-islamico.