Dopo la sentenza resa poco più di un anno fa (7 novembre 2013) nelle cause riunite X, Y e Z (potete trovare qui un nostro post a riguardo), la domanda di pronuncia pregiudiziale di cui ci occupiamo oggi permette alla Corte di fornire ulteriori precisazioni in merito alle condizioni di attribuzione dello status di rifugiato a richiedenti che invocano il proprio orientamento sessuale a fondamento del rischio di persecuzione nel Paese di origine. 

Nello specifico, la Corte è stata chiamata dal giudice del rinvio (olandese) a pronunciarsi sulla conformità con il diritto dell’Unione – l’art. 4 della Direttiva 2004/83/CE (oggi sostituta dalla Direttiva 2011/95/UE, la nuova Direttiva Qualifiche) e artt. 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – di alcune modalità di valutazione delle dichiarazioni e delle prove documentali prodotte a sostegno del proprio orientamento sessuale dai tre richiedenti asilo.

Come al solito pubblichiamo di seguito poche righe di introduzione alla sentenza della Corte, rimandando al nostro sito chi volesse scaricare l’intera analisi in pdf di questa e di tutte le sentenze analizzate finora. Buona lettura!


Chiarito che l’orientamento sessuale dei richiedenti non può considerarsi un fatto assodato solo sulla base delle loro dichiarazioni – che rappresentano solo il punto di partenza nella valutazione – la Corte conclude escludendo la compatibilità con il diritto dell’Unione delle seguenti modalità di valutazione dell’omosessualità adottate dall’autorità giudicante o proposte dagli stessi richiedenti nei casi che hanno dato vita a questa sentenza:  

1. le valutazioni che si basano esclusivamente su stereotipi riguardo agli omosessuali violano il dovere di esame individuale e circostanziato contemplato sia dalla Direttiva Qualifiche sia dalla Direttiva 2005/8/CE (Direttiva Procedure, oggi sostituita dalla Direttiva 2013/32/UE); 

2. gli interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente sono incompatibili con il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Carta; 

3. la possibilità di accettare che il richiedente si sottoponga a un “test” idoneo a dimostrare la sua omosessualità e/o produca  registrazioni video dei suoi atti intimi si pone in contrasto con il diritto al rispetto della dignità umana garantito dalla Carta;

4. la possibilità di dedurre l’assenza di credibilità dalla semplice circostanza che il richiedente non abbia invocato il proprio orientamento sessuale alla prima occasione concessagli viola nuovamente il dovere di esame individuale e circostanziato.


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