Poche settimane fa pubblicavamo un comunicato (“Arrivi via mare, nuova “emergenza” italiana e solidarietà europea: le richieste di Asilo in Europa”) in cui prendevamo posizione sull’elevato numero di arrivi di migranti in Italia e sulle scelte adottate dal governo per rispondere a questo importante afflusso. Nel comunicato avanzavamo anche alcune richieste al governo italiano e alle istituzioni dell’Unione europea. 
Oggi, considerato il protrarsi – e per certi versi l’aggravarsi – di questa situazione, riteniamo doveroso tornare ad esprimerci pubblicamente, con una posizione aggiornata sulla base delle nuove informazioni di cui siamo in possesso.





Mare nostrum

Continuiamo a mantenere dei dubbi e una posizione critica riguardo alla trasparenza, al mancato coinvolgimento delle organizzazioni internazionali e al potenziale screening a bordo. Tuttavia, questa operazione rappresenta senza dubbio una risposta importante e diversa da parte di un Paese che fino a pochi anni fa praticava i respingimenti in mare, contro ogni regola di diritto internazionale, e adesso salva oltre 30,000 persone nei primi quattro mesi del 2014. Tutto ciò, è sempre bene ricordarlo, avviene in un contesto in cui alcuni Stati membri dell’Unione europea rispondono alle crisi internazionali e alle guerre “ai confini dell’UE” alzando muri, sparando proiettili di gomma, e irrigidendo le politiche sui visti. Bisogna invece dare credito all’Italia per aver confermato le operazioni di soccorso in mare, di certo costose e non gradite a chi vede in Mare Nostrum un fattore di attrazione. Pertanto, Asilo in Europa sottolinea con forza che il soccorso in mare deve continuare.


Le scelte dell’Italia per la gestione del fenomeno sul territorio italiano

L’Italia – con la necessaria collaborazione dell’Unione europea – ha le capacità e le risorse per gestire l’arrivo e l’accoglienza anche di un elevato numero di persone in maniera ordinaria, non-emergenziale. Occorre però la volontà politica di prendere atto che le migrazioni, in particolare quelle forzate (da guerre, da persecuzioni, da cambiamenti climatici,…), sono uno dei temi più importanti di questo e dei prossimi decenni e che non è possibile rispondere ad un fenomeno così complesso e di portata storica senza la consapevolezza del suo carattere strutturale, senza una programmazione a lungo termine degli interventi e senza un serio confronto pubblico sulle varie scelte politiche possibili

Purtroppo, ancora una volta, constatiamo invece che la prima risposta del governo italiano agli arrivi (certo, molto numerosi) di migranti è stata quella di ricorrere all’apertura di strutture improvvisate, individuate da ogni singola prefettura sul rispettivo territorio di competenza senza programmazione né confronto pubblico preventivi, e affidate alla gestione di soggetti estremamente eterogenei. 
Dopo le prime settimane di questa accoglienza improvvisata (su cui abbiamo appena avviato una ricerca assieme ad ASGI), possiamo sottolineare ulteriori aspetti che riteniamo molto critici

  • le persone sbarcate dalle navi di Mare Nostrum sono immediatamente smistate sul territorio italiano, a volte senza che si sia provveduto ad alcun accertamento di carattere sanitario; 
  • amministratori locali e organizzazioni incaricate dell’accoglienza (quando presenti) sono avvisati degli arrivi sul proprio territorio con pochissimo preavviso (alcune ore) e con scarsissime informazioni sulle persone che dovranno accogliere;
  • gli invii sui territori avvengono principalmente in giorni festivi o pre-festivi, spesso in orari notturni, il che rende ancor più complicato organizzare le prime attività di accoglienza;
  • si stanno verificando molti casi di abbandoni pressoché immediati delle strutture di accoglienza, soprattutto da parte di siriani, eritrei e somali (proprio quelle nazionalità che più di tutte avrebbero possibilità di ricevere una protezione internazionale), presumibilmente diretti verso altri Paesi europei; non è chiaro peraltro se le impronte digitali di queste persone siano inserite dall’Italia nella banca dati Eurodac;
  • la presentazione della domanda di asilo è condizione necessaria per la permanenza nella struttura di accoglienza dove si è inviati. Di conseguenza tutti i migranti che intendono rimanere in Italia la presentano indistintamente.


Tutto ciò ha conseguenze pesanti sotto diversi aspetti, tra cui:

1. il servizio che viene offerto da chi ha in gestione le strutture di accoglienza risulta – al netto della professionalità, esperienza o buona volontà di chi vi è impegnato – compromesso nella qualità, con ricadute negative su coloro che ne dovrebbero beneficiare;
2. la reazione di comunità e amministratori locali agli invii improvvisi e spesso non concordati di numeri anche elevati di cittadini stranieri e in generale alla mancanza di programmazione, è prevedibilmente preoccupata e diffidente; 
3. l’istituto dell’asilo – come già avvenuto durante la “emergenza nord Africa” – viene svuotato di significato, dal momento che la presentazione generalizzata della domanda di asilo risulta essere l’unica maniera per rimanere nelle strutture di accoglienza.


Dove va a finire il sistema europeo comune di asilo?

In base ai riscontri in nostro possesso, il numero di persone (soprattutto siriani, eritrei, somali) che, poche ore dopo essere state portate sulla terraferma e “smistate” sul territorio italiano, decidono di abbandonare le strutture di accoglienza, presumibilmente dirette verso altri Paesi, è elevatissimo. Probabilmente qualcuno verrà fermato ancor prima di arrivare, qualcuno sarà rinviato in Italia tra qualche mese, qualcun altro riuscirà a rimanere all’estero e magari a ricevere protezione e lavorare in un altro Paese. Tutto questo senza alcuna programmazione o gestione europea, con il rischio di aumentare i guadagni dei trafficanti e ingrossare le fila del lavoro irregolare. 
L’attuale situazione economica, ma anche la presenza in altri Stati di familiari o amici che possono offrire sostegno e “rete” di accoglienza, rendono del tutto impensabile che chi cerca una protezione internazionale possa accettare di rimanere in un Paese dove non ha prospettive anziché tentare di trasferirsi in altri Paesi e trovare là opportunità lavorative (anche se irregolari). 
Ci chiediamo dunque per quanto tempo ancora l’UE possa accettare questa situazione paradossale in cui gli Stati europei si rinviano richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale, pur sapendo che ben presto queste persone si rimetteranno in viaggio verso la loro meta. Dove magari rimarranno un po’, lavorando in nero, imparando la lingua, per poi essere nuovamente rispedite verso il Paese di partenza. Questo “gioco” ha dei costi, oltre che umani, anche economici. Non potrebbero questi fondi essere usati piuttosto per creare occasioni di lavoro?
La nostra proposta, che riteniamo necessaria non tanto per aiutare l’Italia ma per difendere la credibilità del Sistema europeo comune di asilo, è dunque quella di esplorare rapidamente vie per un ampliamento delle attuali possibilità di circolare e lavorare regolarmente nell’area Schengen per chi ha ottenuto una protezione internazionale, affinché il primo Paese europeo di approdo non venga vissuto da chi chiede asilo come il luogo dove si è obbligati a rimanere anche in assenza di prospettive o di legami familiari o culturali.