Anche oggi ci occupiamo di Corte di Giustizia UE e lo facciamo con riferimento a una causa particolarmente rilevante ai nostri fini.
Il 19 aprile 2012, infatti, l’Avvocato Generale Yves Bot ha presentato le sue Conclusioni nelle cause riunite Y e Z (C-71/11 e C-99/11).
Si tratta di domande pregiudiziali inviate dalla Corte amministrativa federale tedesca alla Corte di Giustizia UE affinché questa fornisca la propria interpretazione della Direttiva Qualifiche e, in particolare, definisca quali siano gli atti che possono costituire un atto di persecuzione nel contesto di una violazione grave della libertà di religione.
Il caso che ha originato le domande pregiudiziali è quello di due cittadini pakistani, membri della comunità Ahmadiyya, osteggiata in quel Paese dalla maggioranza sunnita. Le domande di asilo sono state dapprima respinte, nel 2004; quindi, in fase di ricorso, le domande sono state accolte con due sentenze del novembre 2008. Contro tali ultime decisioni veniva proposto ricorso per cassazione.
La Corte amministrativa federale tedesca, nutrendo dubbi sull’interpretazione della Direttiva, decideva perciò di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE tre questioni pregiudiziali.
In via preliminare, ricordiamo come sempre che le Conclusioni dell’Avvocato Generale non vincolano la Corte di Giustizia, ma sono una “proposta di soluzione giuridica” alla causa. Tuttavia, esse sono molto importanti in vista della decisione della Corte, che arriverà in seguito.
Ricordiamo inoltre che il rinvio pregiudiziale è una forma di collaborazione fra giudici. I giudici degli Stati membri hanno cioè la possibilità (o l’obbligo se giudici di ultima istanza) di chiedere, in caso di dubbio, alla Corte di giustizia di fornire l’interpretazione del diritto dell’Unione.
La Corte pertanto non risolve la controversia nel caso concreto, ma fornisce al giudice del rinvio gli strumenti necessari per farlo.
La Corte pertanto non risolve la controversia nel caso concreto, ma fornisce al giudice del rinvio gli strumenti necessari per farlo.
Molto importante: la decisione della Corte non vincolerà soltanto il giudice del rinvio, ma tutti i giudici nazionali degli Stati membri. Il suo impatto è dunque molto forte.
In fase di osservazioni preliminari, l’Avvocato Generale sottolinea come si tratti di una causa dalle evidenti ripercussioni: infatti, essa permetterà alla Corte di fissare la base minimaal di sotto della quale gli Stati non potranno rifiutare di riconoscere l’esistenza di un atto di persecuzione contro un richiedente asilo che subisca una grave restrizione della propria libertà di religione (par. 27 delle Conclusioni).
Quindi, in riferimento alla prima questione sollevata dal giudice del rinvio (in sostanza: se e in quale misura un atto che limita la libertà di religione, e in particolare il diritto di manifestare la propria fede, costituisca un atto di persecuzione), l’AG sviluppa il proprio ragionamento partendo dal contenuto del diritto alla libertà di religione.
In particolare, secondo l’AG:
In particolare, secondo l’AG:
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la libertà di religione, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, gode di una protezione assoluta, quando intesa nel senso di “libertà di avere una religione, di non averla o di cambiarla” (par. 34, 35);
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al contrario, la libertà di manifestare la propria fede non ha un carattere assoluto: non ogni comportamento che sia ispirato da una religione deve ritenersi, per ciò solo, protetto. Anzi, anche nella CEDU è espressamente previsto che la libertà di manifestare la propria fede possa essere oggetto di restrizioni (par. 37);
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ciò tuttavia non permette, secondo l’AG, di individuare nelle religioni un “nucleo essenziale” da tutelare (par. 39). Non è possibile, in particolare, distinguere fra elementi privati ed elementi pubblici, componenti collettive o individuali della libertà di religione, in quanto (come emerge dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo) la manifestazione della religione è indissociabile dalla fede (par. 50);
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in particolare, una limitazione della libertà di praticare la propria religione che sia tesa a garantire l’equilibrio fra le pratiche delle diverse religioni, mirando a mantenere un reale pluralismo religioso e assicurare la coesistenza pacifica delle diverse fedi, non può costituire un atto di persecuzione (par. 68)
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la persecuzione, pertanto, non è caratterizzata dall’ambito della libertà di religione che viene colpito, bensì dalla “natura della repressione esercitata sull’interessato e dalla relativa conseguenza” (par. 52)
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sarà il livello delle sanzioni adottate ad evidenziare eventualmente una sproporzione, cioè “il marchio oggettivo della persecuzione” (par. 69)
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e si dovrà trattare, secondo l’AG, di condizioni eccezionali, in cui il richiedente “corre un rischio effettivo di violazione manifesta” della sua libertà di religione; non si può obbligare, infatti, gli Stati a rivestire il ruolo di “garanti indiretti della libertà di culto per il resto del mondo”. (par. 76)
L’AG suggerisce dunque alla Corte di rispondere alla prima questione posta dal giudice tedesco
“che l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva debba essere interpretato nel senso che una violazione grave della libertà di religione, quale che sia la componente colpita da tale violazione, può costituire un «atto di persecuzione» quando il richiedente asilo, a motivo dell’esercizio di detta libertà o della violazione delle restrizioni cui essa è soggetta nel suo paese d’origine, corre un rischio effettivo di essere giustiziato o sottoposto a tortura, a trattamenti o pene inumani o degradanti, di essere ridotto in schiavitù o servitù o di essere perseguito o detenuto arbitrariamente “
L’AG non ritiene (alla luce della prima risposta) di dover rispondere alla seconda questione, mentre in riferimento alla terza questione posta dal giudice del rinvio (in sostanza, se si può pretendere dal richiedente di evitare un atto di persecuzione nel suo paese d’origine rinunciando a manifestare pubblicamente la sua religione), la risposta dell’Avvocato Generale è nettamente negativa, per diversi motivi.
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Non vi è alcun fondamento nella Direttiva (par. 92);
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tale interpretazione tenderebbe a privare il richiedente asilo di un diritto fondamentale (par. 101), oltre a renderlo in parte responsabile delle violenze che subisce (par. 102);
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chiedere a un richiedente asilo di rinunciare a manifestare la propria fede per evitare di essere perseguitato rischia di vanificare i diritti che la Direttiva mira invece a proteggere e, in definitiva, di privare la Direttiva stessa del suo effetto utile (par. 103, 104).
L’AG suggerisce dunque alla Corte di rispondere alla terza questione posta dal giudice tedesco che
“sussiste il timore fondato di essere perseguitato quando il richiedente asilo, una volta tornato nel suo paese d’origine, intenda proseguire le attività religiose che lo espongono a un rischio di persecuzione. In questo contesto e al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali proclamati dalla Carta, l’autorità responsabile dell’esame della domanda d’asilo non può ragionevolmente esigere da tale richiedente che rinunci a tali attività e, in particolare, alla manifestazione della sua fede“
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