Ancora il Regolamento Dublino II in “prima pagina”.
Parliamo oggi della sentenza N.S. e altri della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 21 dicembre 2011 nei procedimenti riuniti C-411/10 e C-493/10.
Una sentenza attesa e importante.
Va detto innanzitutto che si trattava di un rinvio pregiudiziale da parte di due diversi giudici nazionali (la Court of Appeal of England and Wales, Regno Unito, e la High Court, Irlanda) che hanno chiamato la Corte di Giustizia dell’Unione europea a dare la sua interpretazione del diritto dell’Unione nell’ambito di una serie di controversie che riguardano in totale sei persone richiedenti asilo, da rinviare in Grecia in applicazione del Regolamento Dublino II (rispettivamente una dal Regno Unito e cinque dall’Irlanda).
In sostanza, la principale questione sollevata dai giudici inglese e irlandese era se gli Stati membri sono obbligati, prima di trasferire un richiedente asilo, a controllare se lo Stato di destinazione rispetti effettivamente i diritti fondamentali.
E se, qualora emergesse che tale Stato non rispetta i diritti fondamentali, le autorità del Paese dove il richiedente asilo si trova siano obbligate ad esaminare la sua domanda.
In un post di qualche settimana fa vi avevamo anticipato le conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte. Vediamo ora come si sono espressi i giudici.
La risposta dei giudici di Lussemburgo, come si sa, non risolve la controversia nazionale, che deve essere risolta dal giudice nazionale, conformemente all’interpretazione del diritto dell’Unione che dà la Corte.
Molto importante: tale interpretazione non vincola solamente i giudici nazionali autori del rinvio, ma tutti i giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
Cerchiamo di seguire il ragionamento della Corte di Giustizia procedendo per punti:
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innanzitutto, la decisione di uno Stato – attraverso la c.d. “clausola di sovranità” (prevista dall’art. 3, n. 2 del Regolamento Dublino) – di esaminare una domanda di asilo, nonostante l’applicazione dei criteri previsti dal Regolamento determinerebbe la competenza di un altro Stato, rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Ciò è rilevante, in quanto gli Stati membri sono vincolati al rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea solo quando attuano il diritto dell’Unione (art. 51, n. 1 della Carta);
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l’obiettivo principale del Regolamento Dublino II è quello di accelerare il trattamento delle domande, tanto nell’interesse dei richiedenti asilo quanto in quello degli Stati (§ 79). E il Regolamento Dublino II si basa sul principio della fiducia reciproca, che permette di supporre che gli Stati partecipanti rispettino i diritti fondamentali;
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tuttavia, può accadere, nella pratica, che il meccanismo – sulla carta così lineare – si “inceppi” e che vi sia un rischio serio che un richiedente asilo, in caso di rinvio, sia trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (§ 81);
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non ogni violazione da parte di uno Stato membro delle disposizioni delle Direttive Accoglienza, Qualifiche, Procedure sarà però idonea a impedire il trasferimento del richiedente asilo verso tale Stato. Ne andrebbe, secondo l’opinione della Corte, della stessa ragion d’essere dell’Unione e del sistema europeo comune di asilo e sarebbe compromessa la realizzazione dell’obiettivo di designare rapidamente lo Stato membro competente (§§ 83, 85);
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quando, dunque, il trasferimento di un richiedente asilo in applicazione dei criteri previsti dal Regolamento Dublino II è vietato? Quando gli Stati membri “non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo[…] costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta” dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (§ 94). In questi casi, gli Stati membri, al fine di rispettare i loro obblighi di tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente (§ 94). Giova qui ricordare che l’art.4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti.” Vale forse anche la pena di ricordare che – dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – la Carta ha assunto valore vincolante, nonché rango di norma primaria (art. 6 TUE);come valutare allora l’esistenza di queste “carenze sistemiche” che possono portare fino al divieto di trasferimento? Richiamando la sentenza MSS c. Belgio e Grecia della Corte europea dei diritto dell’uomo (sentenza del 21 gennaio 2011), la Corte di Giustizia dell’Unione europea riconosce che i report di organizzazioni non governative internazionali e UNHCR, oltre che le relazioni della Commissione europea costituiscono informazioni idonee a permettere agli Stati di valutare il funzionamento del sistema di asilo nello Stato membro competente (§§ da 88 a 91);pertanto, è contraria al diritto dell’Unione una presunzione assoluta che lo Stato membro individuato come competente dall’applicazione dei criteri del Regolamento Dublino II rispetti i diritti fondamentali dell’Unione. Tale presunzione deve essere relativa, cioè ammettere prova contraria (§§ 104, 105);cosa succede a questo punto, se uno Stato membro non può trasferire il richiedente asilo nello Stato originariamente individuato come competente? Secondo la Corte, non c’è in prima battuta l’obbligo di esaminare esso stesso la domanda. Al contrario, lo Stato che doveva effettuare il trasferimento dovrà proseguire nell’applicazione dei criteri previsti dal Regolamento Dublino II, per verificare se è possibile identificare un altro Stato competente. Fino eventualmente ad arrivare all’ultimo criterio, previsto dall’art. 13, quello per cui, ove nessuno Stato membro possa essere designato sulla base dei criteri, è competente il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata;tuttavia, è necessario non aggravare la situazione di violazione dei diritti fondamentali, con una procedura di determinazione dello Stato competente che sia di durata irragionevole. In tal caso, lo Stato in cui si trova il richiedente dovrà esaminare la domanda conformemente all’art. 3, n. 2 del Regolamento Dublino II. Dunque, in questo caso, sarà obbligato a utilizzare la c.d. “clausola di sovranità”.La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea riafferma dunque un principio ovvio: nessuno Stato può espellere una persona verso un Paese dove andrà incontro a trattamenti inumani o degradanti. A prescindere dal fatto che tale Stato possa aver ratificato tutti i trattati in materia di diritti umani, ciò che conta è se ne rispetta o meno, nella pratica, le disposizioni. E’ un principio che deve valere tanto verso i Paesi terzi quanto tra i Paesi membri dell’Unione.Dunque, lo ripetiamo, nessuna presunzione assoluta di rispetto dei diritti fondamentali da parte dei Paesi UE è possibile. Se è vero che la fiducia reciproca è alla base del sistema europeo comune di asilo, tale presunzione non può che essere relativa e ammettere prova contraria. A tal proposito, la Corte riconosce il ruolo fondamentale di Organizzazioni non governative e UNHCR nel valutare il funzionamento dei sistemi di asilo.Si tratta, pertanto, di una sentenza largamente apprezzabile.Tuttavia, la Corte non va oltre.In particolare, la sentenza dice chiaramente che violazioni della legislazione dell’Unione che siano inferiori al limite dell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea non possono avere la conseguenza di bloccare i trasferimenti.Sarebbe stato andare troppo “in là”?Forse.La Corte, al punto 85 della sentenza, dice che “ciò avrebbe l’effetto di aggiungere ai criteri di determinazione dello Stato membro […] un criterio supplementare di esclusione” e che “comprometterebbe la realizzazione dell’obiettivo di designare rapidamente lo Stato membro competente”.Vero.
Ma se pensiamo alla politica europea in materia di asilo in un’ottica di Sistema (e non più di singole misure), un sistema volto a “offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale“, come recita ora l’art. 78 TFUE, ecco che l’obiettivo di designare rapidamente lo Stato membro competente parrebbe doversi per lo meno “integrare” con le altre componenti del sistema e non rappresentare necessariamente più il cuore della politica europea in materia di asilo.
La Commissione europea, nella sua proposta di rifusione del Regolamento Dublino II, ha opportunamente suggerito un meccanismo a livello europeo di sospensione dei trasferimenti verso uno Stato membro, qualora questo si trovi in una situazione di particolare pressione sul suo sistema di asilo, ovvero qualora il livello di tutela nel Paese in questione non sia conforme alla legislazione UE (con riferimento soprattutto agli standard delle DirettiveTuttavia, come sappiamo (V. nostro precedente post qui), i negoziati si stanno rivelando molto complicati e le probabilità di vedere inserito questo meccanismo di sospensione sono poche.Vai alla nostra scheda sul Regolamento Dublino IIVai alla nostra intervista con Francesco Maiani – “Tutto quello che avreste voluto sapere sul Regolamento Dublino”