Con il post di oggi proseguiamo quella serie di interventi sul blog Asilo in Europa (inaugurata con l’intervista ad Anneliese Baldaccini – Amnesty International su Frontex) di esperti che possono aiutarci a capire meglio il senso e la portata delle novità di cui via via diamo conto.
L’argomento di oggi è il Regolamento Dublino e non ha certo bisogno di grandi introduzioni. Si tratta senza dubbio del “pezzo” di politica europea in materia di asilo più famoso, discusso, criticato.
Ne abbiamo parlato spesso anche su questo blog (V. ad esempio qui e qui).
Abbiamo chiesto a Francesco Maiani, professore all’Institut de hautes études en administration publique – Swiss Graduate School of Public Administration, e membro del Network Odysseus, di ripercorrerne le origini, descriverne obiettivi e carenze e analizzare i negoziati in corso per la sua modifica, con un riferimento particolare alla fondamentale sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso M.S.S. contro Belgio e Grecia.
Un intervento ricchissimo e di certo interesse per i lettori, di cui lo ringraziamo molto.
Intervista pensata e raccolta in collaborazione con Pietro Tesoriero*
1. Il Sistema Dublino è una pietra miliare della politica europea in materia di asilo e viene da lontano. Ci può aiutare a capirne le origini e gli obiettivi?
Il sistema di Dublino persegue essenzialmente tre obiettivi.
Il primo obiettivo è umanitario: assicurare l’accesso ad una procedura d’asilo, in uno Stato membro, ad ogni persona che cerca protezione nell’Unione. A tal fine, il Regolamento Dublino stabilisce il principio (non banale) secondo il quale ogni domanda d’asilo presentata nell’Unione dev’essere esaminata da uno Stato membro (Stato responsabile).
Corollario: il Regolamento fissa i criteri per determinare qual è lo Stato responsabile per ogni domanda d’asilo, e stabilisce il contenuto di questa responsabilità (ammettere o riammettere il richiedente asilo, esaminare la sua domanda…).
Il secondo obiettivo è piuttosto un obiettivo di “gestione dell’immigrazione“: impedire che più Stati esaminino le domande depositate dallo stesso richiedente. A tal fine, il Regolamento stabilisce il principio che ogni domanda dev’essere di regola esaminata da un solo Stato, lo Stato responsabile.
Corollario: se la stessa persona presenta una domanda d’asilo in un altro Stato, o vi si reca senza autorizzazione, questo secondo Stato può trasferire il richiedente asilo allo Stato responsabile senza esaminare la domanda.
Terzo obiettivo – anch’esso di “gestione dei flussi”, e non esplicitamente richiamato nel preambolo del Regolamento: sottrarre al richiedente asilo la scelta del paese che esaminerà la sua domanda. A tal fine, il Regolamento stabilisce dei criteri di determinazione dello Stato responsabile che sono “oggettivi” (es.: è responsabile lo Stato dalle cui frontiere il richiedente è entrato irregolarmente nell’Unione), e che danno tutt’al più un rilievo secondario alla volontà dell’interessato.
Sotto tutti questi aspetti, il sistema di Dublino è figlio del suo contesto storico. È stato elaborato negli anni ’80, in piena “crisi dell’asilo”. La diffusione del concetto di “paesi sicuri” nelle legislazioni nazionali aveva dato origine al fenomeno drammatico dei “rifugiati in orbita“: persone rinviate da uno Stato all’altro senza mai veder la loro domanda esaminata. Di qui, l’esigenza di garantire l’accesso alla procedura d’asilo almeno in uno Stato membro.
Peraltro, il sistema è stato concepito come “misura d’accompagnamento” all’abolizione delle frontiere interne. Il timore di un’esplosione delle domande multiple (e dunque dei costi associati per sistemi d’asilo già sotto pressione, e dell’uso abusivo delle domande multiple come mezzo semplice per prolungare il soggiorno in Europa) era ed è legato proprio all’assenza di controlli alle frontiere. Così come il timore – espresso soprattutto dagli Stati di destinazione del nordeuropa – di un regime di “libera scelta” de facto che li avrebbe svantaggiati: di qui la decisione di stabilire criteri “oggettivi” fondati, principalmente, sul criterio della responsabilità per l’ingresso del richiedente nell’Unione.
2. Nella valutazione del 2007 sul Sistema Dublino la Commissione europea ha detto che, nel complesso, gli obiettivi sono stati raggiunti in larga parte. Non sono invece mancate, da parte di Ong, Unhcr e mondo accademico, critiche anche molto dure al suo funzionamento. A suo parere, quali sono le carenze principali del Sistema Dublino?
La valutazione del 2007 era così positiva perché ignorava semplicemente i gravi problemi provocati dal sistema di Dublino. I documenti che accompagnano la proposta di riforma del sistema del 2008 offrono un’immagine un po’ più realistica delle cose.
I problemi sono molteplici, e tutti legati fra loro.
In termini di protezione ed integrazione, il sistema presenta soprattutto due problemi. Primo: nei suoi fondamentali – un solo Stato responsabile, la cui scelta è per di più sottratta ai richiedenti – il sistema si fonda sul presupposto che, in fondo, uno Stato membro vale l’altro per i richiedenti asilo: sono tutti Stati sicuri, hanno tutti ratificato la Convenzione di Ginevra, offrono tutti la stessa protezione. Purtroppo le cose non stanno così.
I tassi di riconoscimento divergono in modo sostanziale, in alcuni casi da 1% a 70% per la stessa nazionalità. Questo significa che lo stesso richiedente ha chances radicalmente diverse a seconda dello Stato a cui è “assegnato”.
Il che è palesemente aribitrario: i criteri di Dublino, che non hanno niente a che vedere con il merito delle domande di protezione, finiscono per incidere pesantemente sul loro esito.
Peraltro, in alcuni Stati il sistema d’asilo e d’accoglienza è al collasso (è stato il caso della Grecia) o soffre di problemi più circoscritti ma comunque gravi (es. pratiche dubbie nell’applicazione della Convenzione di Ginevra, problemi di accoglienza…). In altri termini: lo Stato responsabile potrebbe non essere “sicuro”.
Secondo problema: il sistema da un lato sottrae la scelta dello Stato responsabile ai richiedenti, e dall’altro si fonda su criteri che non tengono sufficientemente in considerazione i legami che un richiedente asilo può avere con uno o con l’altro Stato (legami familiari, culturali, derivanti da soggiorni precedenti…). Conseguenza: l’applicazione del sistema genera risultati che troppo spesso pregiudicano l’unità familiare o un’integrazione riuscita delle persone che poi otterranno uno status di protezione.
A fronte di questi problemi, il Regolamento prevede che gli Stati possano soprassedere al trasferimento verso lo Stato responsabile ed esaminare “in deroga” le domande che sono loro sottoposte (clausola di sovranità). Prevede anche che gli Stati possano mettersi d’accordo per ricongiungere i membri della stessa famiglia in deroga ai criteri (clausola umanitaria).
Teoricamente, dunque, gli Stati possono sanare le insufficienze del Regolamento con una pratica pienamente conforme ai diritti umani ed agli interessi legittimi dei richiedenti. In pratica, però, le cose vanno raramente così.
Il sistema di Dublino pone anche un problema di solidarietà ed equità fra gli Stati membri: per come sono formulati i criteri di responsabilità, il Regolamento tende a “ridistribuire” i richiedenti verso gli Stati meridionali ed orientali, che sono più esposti ai flussi migratori ed al contempo hanno meno risorse. L’effetto è moderato in termini assoluti (persone trasferite), ma può aggravare situazioni già al limite – la Grecia è ancora una volta l’esempio classico – con ripercussioni serie sulla qualità della protezione offerta ai richiedenti in quegli Stati.
Ultimo problema, il sistema è profondamente inefficiente. Sposta migliaia di persone all’anno, è vero, ma molte meno di quelle che dovrebbe spostare in teoria. Un dato colpisce in particolare: secondo le cifre fornite dalla valutazione del 2007 (e poi grosso modo confermate), solo la metà dei trasferimenti concordati sono poi effettuati.
Quale sia lo spreco di risorse pubbliche (finanziarie, umane…) non è dato sapere, visto che le cifre relative ai costi del sistema non sono note.
Quali siano le cause, si può intuire: una diffusa resistenza, da parte dei richiedenti asilo, ad un sistema che considerano arbitrario ed a cui tentano di sottrarsi in modi anche estremi.
Il che, tra l’altro, genera un altro problema: un ricorso sistematico alla detenzione dei richiedenti asilo, proprio per evitare che si sottraggano ai trasferimenti Dublino.
3. La proposta di modifica del Regolamento Dublino avanzata dalla Commissione nel 2008 (e sulla quale i negoziati faticano ad avanzare) contiene, soprattutto, un meccanismo di sospensione temporanea a livello europeo dei trasferimenti dei richiedenti asilo in caso di afflusso eccezionale o di mancato rispetto della normativa europea in materia di asilo da parte di uno Stato Membro. Molti Stati Membri non sembrano gradire questo strumento ma rilanciano per un meccanismo di valutazione di Dublino sul modello del meccanismo in vigore per il sistema Schengen. Che impatto possono avere questi strumenti sul sistema Dublino?
La Commissione ha proposto un sistema di sospensione generalizzata attivabile in due casi: pressione particolare su uno Stato membro, o “crollo” degli standard di protezione in uno Stato membro.
Un meccanismo del genere sarebbe utilissimo, soprattutto per ragioni di protezione. Di fronte al collasso del sistema d’asilo greco, alcuni Stati hanno sospeso i trasferimenti, la maggioranza ha proseguito. Poi, con molti anni di ritardo, e quando ormai diverse migliaia di persone erano state trasferite, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che trasferire un richiedente in Grecia costituiva una violazione dell’art. 3 CEDU – sottolineo, dell’art. 3. Ed ora, i trasferimenti sono stati sospesi in tutti gli Stati (con alcune “varianti” nazionali). Non sarebbe stato meglio avere (anche) una procedura di sospensione interna all’Unione, attivabile d’ufficio e per tempo? Allo stato attuale, sembra che il meccanismo di sospensione sia stato affossato in Consiglio perché una maggioranza di Stati membri dice che non si deve premiare – con la sospensione dei trasferimenti – uno Stato che viola i suoi obblighi di protezione.
A prima vista, è un argomento di buon senso. Ad un secondo esame, è un argomento inquietante: per non “premiare” uno Stato che viola i suoi obblighi di protezione, e quindi non offre garanzie sufficienti, né condizioni di accoglienza conformi a dignità umana, continuiamo a trasferire lì i richiedenti asilo? Ma il Trattato non dice che lo scopo supremo della politica d’asilo europea è garantire il rispetto del principio di non-refoulement?
Ora sembra che ci si orienti su una valutazione sistematica e costante delle pratiche degli Stati membri, e su sistemi di intervento preventivo per evitare situazioni di crisi. Ottimo. Ma questa è una misura complementare a quella del meccanismo di sospensione, non alternativa. Se nonostante tutte le misure preventive si arriva ad una crisi, che si fa? Allo stato: ogni Stato provvede in ordine sparso, finché non arriva una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo…
4. Sostanzialmente, però, anche qualora queste modifiche venissero approvate, il sistema non verrebbe modificato in profondità. Quali potrebbero essere invece possibili meccanismi alternativi che, pur mantenendo l’obiettivo di individuare lo Stato responsabile per l’esame della domanda, riformino il Sistema Dublino?
Intendiamoci, l’accettazione delle proposte della Commissione sarebbe un bel passo avanti – al di là della questione del meccanismo di sospensione. Penso soprattutto alle garanzie procedurali previste dalla proposta per la procedura Dublino (audizione dell’interessato, sospensione semi-automatica del trasferimento in caso di ricorso…).
Però è vero, “Dublino 3” sarebbe una versione rivista e (parzialmente) corretta di “Dublino 2” – e colpisce che nessuna alternativa vera al sistema di Dublino sia stata presa in considerazione.
Personalmente, ritengo che (a) la sostenibilità di qualsiasi strumento di distribuzione delle responsabilità dipenda da un’armonizzazione molto più spinta delle pratiche d’asilo e dall’introduzione di meccanismi efficienti di solidarietà – non solo finanziaria; (b) il sistema di Dublino abbia fallito completamente per quanto attiene ai “criteri” di determinazione dello Stato responsabile, e funzioni invece ragionevolmente come sistema per prevenire l’esame di domande multiple.
In queste condizioni, avrebbe senso lasciar cadere i criteri – la cui applicazione è inefficiente, costosa e lunga – e stabilire che lo Stato responsabile è quello in cui la domanda è presentata, salvi alcuni criteri correttivi (ed attivabili su richiesta del richiedente asilo) fondati su legami reali fra il richiedente ed uno Stato membro (es. criteri familiari).
L’idea è già stata proposta senza successo dall’ACNUR nel 2000. Ma al momento, gli Stati membri sembra vogliano tenersi a tutti i costi il sistema di Dublino: basta leggere il programma di Stoccolma…
5. A inizio 2011, la Corte europea dei diritti umani ha emesso la sentenza nel caso M.S.S. contro Belgio e Grecia. Può descriverci l’importanza di M.S.S. e il suo possibile impatto sui negoziati in corso per la modifica del Regolamento Dublino e, più in generale, sul futuro del Sistema europeo comune di asilo?
Con diversi anni di ritardo, la Corte ha affermato concretamente il principio secondo il quale il rispetto dei diritti umani viene prima di un’applicazione efficiente del Regolamento. Gli Stati non possono più nascondersi dietro “presunzioni di sicurezza” contraddette da tutte le evidenze disponibili. Quindi, è lecito sperarlo, gli Stati membri inizieranno a valutare con più scrupolo la sussistenza di garanzie elementari di sicurezza nello Stato responsabile ed a utilizzare, in modo più sistematico e coerente, i meccanismi di eccezione previsti dal Regolamento.
Peraltro la Corte ha richiamato con forza le garanzie procedurali che debbono essere in ogni caso rispettate nella procedura. Passi avanti importanti. Tuttavia, alcune questioni restano aperte: quale sarebbe il giudizio della Corte in casi meno estremi di quello della Grecia del 2011? E posto che lo standard minimo dell’art. 3 CEDU dev’essere rispettato, che dire del trasferimento verso paesi le cui pratiche sono sostanzialmente meno favorevoli di quelle dello Stato in cui si trova il richiedente, e/o sono in violazione della legislazione dell’Unione? Alcune risposte potrebbero venire, prossimamente, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Quanto all’impatto sulla politica d’asilo. La sentenza M.S.S. contiene indicazioni importanti, che avrebbero dovuto indurre il Consiglio a riflettere nuovamente sulla proposta della Commissione. Per molti aspetti, la proposta riflette le esigenze (soprattutto procedurali) che secondo la Corte europea gli Stati devono già rispettare nell’applicazione di Dublino. Non sarebbe bene, nell’interesse della sicurezza del diritto e della garanzia dei diritti, codificare queste garanzie nel nuovo Regolamento?
Peraltro, dichiarando che la Grecia non garantisce al momento condizioni elementari di sicurezza ai richiedenti asilo, la Corte ha di fatto decretato una “sospensione generalizzata”. Non sarebbe naturale includere un meccanismo di sospensione, gestito dalle istituzioni dell’Unione sulla base di un monitoraggio costante, nel nuovo Regolamento?
A me pare che la risposta a tutte e due le domande sia “si”. Ma evidentemente, gli Stati la pensano diversamente.
* Pietro Tesoriero è amico e collaboratore del blog Asilo in Europa e lavora nella sezione legale dell’ECRE
Gli articoli di Francesco Maiani (inclusi quelli su Dublino) sono disponibili sul sito http://idheap.academia.edu/FrancescoMaiani/Papers.
Questo post è stato pubblicato anche su Melting Pot (Vai)
Vai al testo del Regolamento Dublino II
Vai alla proposta della Commissione di rifusione del Regolamento Dublino II
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